28/11/11

Blood Orgy of the She-Devils (Ted V. Mikels)

Blood Orgy of the She-Devils
di Ted V. Mikels (1972 USA 73')
Il regista, un must della serie Z grazie a film psicotronici come The Astro-Zombies (con Tura Satana!) e The Corpse Grinders, ha iniziato la sua carriera come prestigiatore, contorsionista, acrobata, suonatore di fisarmonica e ventriloquo e la sua passione per il cinema è iniziata proprio riprendendo questi suoi deliranti spettacoli. Per il suo Corpse Grinders in cui i due protagonisti producono e vendono cibo per gatti servendosi di carne umana ebbe la folgorante idea di istituire un concorso pubblico per premiare chi avesse progettato la macchina tritacarne umana più credibile e realistica. Questo film dal mirabolante titolo Blood Orgy of the She-Devils, che già da solo merita la visione della pellicola,  è la storia di una setta di streghe/diavolesse  antropofaghe, dall'aspetto alquanto seducente, dedite a sabba danzanti e avide succhiatrici di plasma fresco. Si scopre che la sacerdotessa officiante il sanguinoso rito, interpretata da un'inquietante Lila Zaborin, è una strega decisa a sterminare i discendenti di quegli inquisitori che in passato mandarono al rogo le sue colleghe. Per compiere la sua vendetta si fa guidare da uno spirito indiano ed è capace di servirsi di ogni metodo: dal sesso, all'esoterismo, all'ipnosi, al cannibalismo fino al voodoo.  Come esecutrici delle sue esecuzioni,  si serve di una serie di splendide ragazze discinte, direttamente uscite dal paginone centrale di playboy dell'epoca, utilmente ipnotizzate dal suo sguardo e dall'utilizzo di una musica sincopata (proto-rave direi). Nel fare questo è aiutata da un custode cavernicolo capriforme, dall'aspetto veramente ridicolo, forse l'elemento più esilarante del film. Il finale vede misteriosi individui fare improvvisamente saltare tutto in aria grazie ad un fluido bluastro fosforescente che fluisce dalle loro mani. Film da fast-forward senza ripensamenti, io mi sono visto l'intera pellicola in 21' secchi...ne parlo però perché mi fu regalata anni fa copia di questo scult da una ragazza/diavolessa che invece lo considerava un autentico cult movie di mezzanotte...il packaging del suo regalo è veramente tuttora favoloso, tutto intarsiato a mano, disegnato con passione e impreziosito da uno stile di scrittura sorprendente...
"Vuoi fare dei film? Io la vedo così: è come aver bisogno di un'automobile e tutto quello che hai è un sfasciacarrozze pieno di pezzi vari. Se non hai altro mezzo, l'unica è costruirla da solo. Se ciò significa che alla fine devi imparare a dipingere la macchina una  volta finita, fai anche quello. Fare un film è uguale. Non è che mi piaccia scrivere, produrre, dirigere, trovare i soldi, fare la fotografia e il cameraman, truccare gli attori, fare gli effetti speciali, montare, registrare gli effetti sonori, fare la musica, curare il mix, stampare la pellicola, prendere la pizza sotto il braccio e andare in giro a venderla...Non lo faccio perché voglio farlo, ma perché a volte non c'è un altro modo. Sono pronto veramente a tutto...è bello innamorarsi, allevare dei figli, ma fare film è sempre stata la mia vera forza propulsiva, ed è così che - il più tardi possibile- vorrei essere ricordato: come qualcuno che faceva dei film."
(Ted V. Mikels
dal libro Sparate sul regista! Casa Editrice il Castoro)

Vase de Noces (Thierry Zeno)

Vase de Noces 
di Thierry Zeno (1974 BEL 81')
Premetto che ne parlo solo ora a ben sei mesi dalla visione, in quanto questo film mi ha allontanato dal cinema e dalle sue meraviglie per ben tre mesi. Ma non per il disgusto provocato dalla famosa prima parte zoofila, tutto sommato accettabile, quanto per la seconda delirante parte che va a pescare in un subconscio fatto di istinti animaleschi e regressioni psicotiche, veramente veramente insostenibile. Devo ammettere comunque che Zeno, indubbiamente colto antropologo, rimesta in strani territori dell'essere umano, oscuri e inesplorati e con la complicità folle di un attore/sceneggiatore quale Dominique Garny riesce a creare un'opera limite, abominevole e a suo modo indimenticabile, comunque non gratuita. Il bel documentario abbinato al dvd dal titolo "Of pigs and men" a firma di Federico Caddeo chiarisce un po' l'intenzione dei due suddetti terroristi: quella di creare qualcosa di mai fatto prima, che rigetti ogni norma esistente e vada a cercare di rappresentare la ricerca del segreto dell'immortalità della tradizione alchemica. I numi tutelari del regista sono tanti e alti, dalla pittura di Bosch e Bruegel (il vecchio) all'Art Brut, dal Simbolismo al "teatro della crudeltà" di Artaud, dalla "Psicologia e Alchimia" di Jung agli scritti rivoluzionari di Jean Dubuffet, dal Teorema di Pasolini alla figura di Milarepa. Il risultato invece è uno spaccato desolante e frustrante, privo di dialoghi, incentrato su un personaggio autistico, fattore e provetto alchimista, innamorato di una tenera scrofetta. Un sopravvissuto (l'ultimo uomo sulla terra?) smarrito nella più tetra solitudine di un casolare abbandonato e dedito all'accudimento di numerosi animali da cortile. Un paesaggio minimale e post-atomico quello rappresentato dalla pellicola, nobilitato da un'affascinante bianco e nero e da musiche veramente inquietanti e azzeccate, tra cui le arie di Monteverdi e l'elettronica di Alain Pierre. La volontà del regista è quella di indagare la condizione umana primordiale, l'origine primigenia della nostra specie, quel momento in cui l'umanità, per assenza di morale e di cultura, si amalgama alla pura animalità. Un cinema primitivo, "assoluto sul corpo e sul sesso, sul labile limite tra animalità e umanità, estremo dal primo all'ultimo fotogramma eppure mai volgare: quello di Zeno è un universo in cui la regola è disintegrata, derelizione e misticismo si sovrappongono e l'abiezione si eleva ad allegoria" come scrive giustamente Curti. Misticismo, autodistruzione, alchimia e ricerca di purificazione sono le istanze che emergono dalla visione della pellicola, ma purtroppo sono funestate da interminabili sequenze che non risparmiano nulla al violentato spettatore. Sì forse l'arte deve essere violenta come ci dice Garny nel documentario, ma direi che qui si è sul filo del limite invalicabile, ad un passo dall'abisso paranoico. Tra le scene stampate nel cervello rimane quella degli sterminati barattoli di vetro riempiti di fango e feci (e altre cose indicibili) che il protagonista colleziona e con cui si intossica, nel tentativo estremo di trascendere la propria corporeità e di decomporre il proprio ego (parole dell'autore)...sic...
Non mancano comunque momenti di delicato lirismo come quando il protagonista accudisce i suoi tre maialini o quando gioca teneramente con un aquilone o quando cerca di mettere teste di bambole su piccioni per trasformarli in angeli.
Chissà se Ciprì e Maresco si sono ispirati a questo viaggio al termine della notte in celluloide per il loro cinico cinema.
Simbolico e ripugnante, sconvolgente e disgustoso, ma stranamente penetrante.
Per vederlo andate qui. A vostro rischio e pericolo però.

27/11/11

Blue Movie (Alberto Cavallone)

Blue Movie
di Alberto Cavallone (1978 ITA 81')
Altra controversa pellicola dall'autore del radicale Spell Dolce Mattatoio, anche questa all'insegna di un cinema borderline, contemporaneamente stimolante e massacrante, nichilista e punitivo, in poche parole una fucilata (a pallettoni) ai genitali dello spettatore. Rabbiosa fucilata evidente fin dai titoli di testa che alternano immagini di frammenti di pellicola con in sottofondo il suono di spari: per Cavallone le immagini sono inequivocabilmente proiettili e lo spettatore è il suo bersaglio. Il titolo accattivante, recitazione e scenografie da porno d'accatto e squallidi inserti hardcore (sempre volutamente privati del climax finale) lo resero all'epoca un discreto successo nel florido (e imbecille) circuito a luci rosse, segno che lo sberleffo estremo del regista era incredibilmente andato a segno. Da questo suicidario film in poi la sua strada autoriale deragliò nell'invisibilità o negli squallidi meandri del cinema porno tra nani perversi e violenza gratuita, spesso con l'interessante nickname di Baron Corvo. Il film girato con scarsi mezzi e in pochissimo tempo(otto giorni di riprese e dieci giorni di montaggio) è incentrato su un allucinato fotografo,  ex reporter di guerra, misogino e fondamentalmente impotente, che abborda ragazze in difficoltà e in crisi d'identità (una modella masochista, una schizofrenica forse vittima di violenza carnale, una senzatetto disperata) ospitandole in casa propria e instaurando con queste dei bizzarri rapporti sado-masochistici. Il fotografo odia e rifiuta la nascente società consumistica del bello e nella sua nichilistica protesta ricerca visceralmente l'abiezione e  la paura sul viso delle sue vittime (idea che viene da l'Occhio che uccide), che ottiene quando le tratta in modo spregevole e spiazzante o le umilia nei modi più impensati. Allo stesso tempo fotografa senza sosta lattine di coca cola e fanta  schiacciate, proprio per produrre immagini inutilmente provocatorie. Nel tempo libero colleziona feticci tra i più disparati, gioca smontando braccia e gambe a bamboline che avvolge con garza idrofila, riempie il frigo di lattine colme di urina e di pacchetti di marlboro riempiti di escrementi, predispone bizzarre scenografie per fare provocatorie fotografie. Trama confusa, flashback a go go, attori dalla recitazione dilettantesca, sprazzi visionari, andamento lento, scene di sesso anti-erotiche, comportamenti inspiegabili fanno di questo film una scommessa per l'affranto e disgustato spettatore. L'identità occidentale è la tematica centrale di questo film oltraggioso e il protagonista è l'alter ego del regista in crisi d'identità che non può fare altro che perdersi ad osservare il proprio riflesso deformato da una lastra di alluminio.
Numerose comunque sono le sequenze stimolanti tra cui quella del rito funereo del protagonista col talamo mortuale coperto di elementi simbolici e circondato da lattine che termina con l'accoppiamento tra lo statuario nero e la schizofrenica che ha un minaccioso ragno disegnato sui genitali. Altra sequenza notevole è quella del servizio fotografico tra i magnifici murales infarciti di  slogan rivoluzionari (tra i quali salta all'occhio la fumettistica Mafalda che esclama "Io sono Mia"), che inverte la posizione di vittima e carnefice tra il protagonista e l'imprevedibile schizofrenica. Altra scena memorabile è quella della vasca blu elettrico riempita di sangue da cui esce una minacciosa mano zombesca in una delle allucinazioni della protagonista. Altra scena degna di nota è quella che vede il protagonista guidare l'eccitazione della modella con una lampada puntata sulle zone erogene del corpo di questa.
Spiazzante e provocatorio (ricorda l'Arancia Meccanica di Kubrick) l'uso della musica classica di Bach e Offenbach abbinata a immagini violentemente perverse. I numi tutelari cinematografici del regista sono Warhol e il suo cinema punitivo, il Salò di Pasolini (citato in una scena in cui la protagonista cammina carponi con rifiuti in bocca), la Bestia di Borowczyk citato nella scena dell'inseguimento nel posto abbandonato, il durissimo Sweet Movie di Makavejev radicalmente e disperatamente citato in una scena in cui però al cioccolato è sostituita la merda. Da Makavejev Cavallone prende anche l'urticante e irritante idea di inframmezzare la pellicola di sequenze documentarie reali (di esecuzioni, campi di concentramento, corpi ammassati da ruspe, bonzi che si danno fuoco) fucilando così definitivamente la Società dello Spettacolo e mettendo una disperata pietra tombale sulle nostre speranze di ripresa.

22/11/11

Programmazione Cinema Dicembre 2011 Scaglie

Dicembre Cinema 2011 Scaglie

Domenica 4 Dicembre ore 21.30

Exit through the gift shop

di Banksy (2010  USA 87’)
Esordio cinematografico dell’artista Banksy che nel 2010 ha conquistato il Festival di Berlino e il Sundance Festival. Definito come “il più grande documentario sulla Street Art che non ha mai visto la luce”, il film è diretto da Banksy, superstar della street art britannica la cui identità rimane ancora oggi sconosciuta. Il film però, non parla di Banksy e nemmeno della Street Art perché, come afferma l’artista stesso, la persona che doveva realizzarlo si è dimostrata un soggetto di gran lunga più interessante. Si tratta di Thierry Guetta, un francese trapiantato a Los Angeles che gestisce un negozio di vintage. Le cose da sapere su di lui sono tre: ha una personalità ossessivo-compulsiva, è cugino dello street artist parigino Invader e non si muove mai senza una telecamera. Con determinazione, Thierry Guetta individua la sua nuova missione per la vita, realizzare il più grande documentario sulla Street Art intervistandone i protagonisti e seguendoli nelle loro imprese. Si inizia dalla famiglia, con Invader e presto seguono altre personalità come Shepard ‘Obey’ Fairey (famoso per il suo poster con il volto di Obama e la scritta ‘Hope’) che accolgono Guetta a braccia aperte, un po’ per la sua buona volontà, un po’ per il suo goffo entusiasmo. Ma quando nel 2006 Banksy si reca a Los Angeles, Guetta intravede l’opportunità della vita. Un film dedicato al più grande writer della nostra epoca. Banksy accetta la compagnia dell’eccentrico francese, non disdegnando una persona esperta della città degli angeli. A questo punto qualcosa va storto, forse quando Banksy, un po’ esausto consiglia a Guetta di produrre la propria arte. In un battibaleno, Guetta investe le sue (non poche) energie nella creazione di Mr Brainwash e diventa un artista di grido. Alla sua prima inaugurazione, un guazzabuglio di opere scopiazzate dal libro “Art Now” di Taschen, intervengono, tra gli altri, Angelina Jolie e Jude Law. Narrato da Rhys Ifans, il documentario non è solo esilarante, ma anche una riflessione crudele sul mondo dell’arte che, come riferisce Banksy in un’intervista a Sheperd Fairey, “è la più grande delle truffe. È un ospizio per superprivilegiati, velleitari e deboli”. Il dvd è accompagnato da un libro che include la suddetta intervista più altri saggi utili a capire la personalità di Banksy, che anche con Exit through the gift shop ci ricorda il suo più grande talento, l’abilità di smascherare gli impostori e le insensatezze della nostra epoca. (by SaraSchifano)

Domenica 11 Dicembre ore 21.30
Italian Kings of B’s
di  Steve Della Casa 
Il film di serie B è nato negli anni trenta negli Stati Uniti per contrastare il calo di spettatori nelle sale. Pagando un solo biglietto si poteva vedere un film in più e questo spiega anche la loro durata inferiore ai settanta minuti. Si trattava di film (di genere soprattutto western e noir) girati in pochi giorni e sfruttando scenografie e costumi di altri film ben più costosi. Negli anni Sessanta ha avuto il massimo successo di pubblico con i film prodotti e diretti da Roger Corman.  Resta invece incerta l'origine del nome, o meglio, della "B". Secondo alcuni viene da «Bottom of the Bill» perché il loro titolo era scritto in fondo al manifesto del film che accompagnavano; secondo altri invece viene da «Bread and Butter» cioè film girati per guadagnare il pane, per vivere. Il termine ha poi assunto un significato di film girato in fretta, senza particolari pretese e solitamente, ma non sempre, di non eccelsa qualità.  In Italia i film di serie B hanno assunto soprattutto significato di film di bassa qualità. Essi si diffusero in particolar modo tra gli anni sessanta e gli anni ottanta, ma in realtà esistono da quando è nato il cinema con i suoi generi. Questi film, venivano girati e montati molto in fretta rispetto agli standard delle grandi produzioni, perciò hanno sempre goduto del vantaggio d'essere distribuiti (nel caso dei sequel), in modo relativamente celere rispetto all'uscita dell'originale. I numerosi generi e sottogeneri (tra questi ricordiamo almeno gli spaghetti western o western all'italiana, nati con il cinema di Sergio Leone) che questa definizione abbraccia, proprio perché così diversi fra loro e per la facilità degli argomenti trattati, ebbero molta fortuna tra gli spettatori italiani, almeno fino all'avvento della televisione generalista e commerciale verso la metà degli anni settanta; anche in caso di abbandono del pubblico, si rigenerarono cambiando anche registro, ad esempio, da drammatico a comico; o si perpetuarono in, più o meno lunghi, sequel. Perciò, a tempo di record, e in qualche caso anche nell'arco dello stesso anno, uscivano nelle sale numerosi film di una stessa serie, con varianti, e omissioni (anche evidenti) comprese, tendenzialmente peggiorando in qualità e sceneggiatura di film in film; la richiesta faceva sì che si formassero dei veri e propri episodi espressi in tempo reale, che il pubblico, in qualche modo richiedeva, o imparava ad aspettare; il meccanismo durava finché c'era pubblico in sala. Lo sfruttamento plurimo di uno stesso personaggio faceva sì che divenisse, ben presto, uno stereotipo; o l'utilizzazione di una situazione conosciuta e/o riconoscibile immediatamente alla collettività degli spettatori, anche di diversa estrazione sociale, permettevano al grande pubblico di affezionarsi alle serie, creando così, ove fosse possibile, dei tormentoni che si traducevano in pubblicità gratuita ai vari prodotti, in blocco, senza discrimini qualitativi di sorta. Per lo stesso motivo, molti attori, identificati nei personaggi stessi che interpretavano, divennero dei veri e propri modelli incarnando delle maschere nel tempo del cinematografo. Tra gli altri attori celebri dei B-Movie italiani vanno ricordate vere e proprie star agli occhi degli appassionati del genere, personaggi come Bombolo, Jimmy il Fenomeno, Lando Buzzanca, Lino Banfi, Alvaro Vitali, Renzo Montagnani, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, o attrici come Barbara Bouchet, Gloria Guida, Nadia Cassini, Edwige Fenech, Anna Maria Rizzoli, Carmen Villani e Orchidea De Santis. Negli ultimi anni, molti tra questi B-movie sono tornati alla ribalta, per motivi non soltanto cinematografici, ma più per l'importanza sul piano del costume nazionale poiché vengono identificati generalmente con la commedia erotica all'italiana o commedia sexy; vengono sovente definiti trash o cult, a volte pronunciato come si scrive, o in un altro caso stracult, come dichiara l'omonimo titolo di un dizionario di B-Movie e di un programma televisivo a loro dedicati, curati dallo storico del cinema Marco Giusti. Durante la 61ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2004) è stata presentata una selezione di film di serie B italiani, chiamata Italian Kings of the Bs / Storia segreta del cinema italiano 1949-1976, patrocinata da Quentin Tarantino, che ha avuto una sezione dedicata ed ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Questo imperdibile documentario ne ripercorre la storia (da Wikipedia).

Domenica 18 Dicembre ore 21.30
Una bella grinta
di Giuliano Montaldo (1964 ITA 100’)
Girato a Bologna, "il film mira chiaramente a darci il ritratto di un nuovo tipo di borghese italiano, il borghese neocapitalista nordico [...] e qui, crediamo, sta la sua indubbia originalità. Si pensi agli industriali ora crepuscolari ora, che fa lo stesso, demiurgici del nostro cinema anche migliore, e si vedrà la differenza: Zambrini non è crepuscolare né demiurgico, è quello che è. Il grande merito di Giuliano Montaldo è di averci dato un personaggio per così dire di puro comportamento, senza quasi residui ideologici o psicologici, fine a se stesso. Un simile personaggio, naturalmente, può anche compiere un delitto: in lui il crimine non sarà motivo di rimorso o di orgoglio; resterà una cosa fra le tante che può accadere di fare per difendersi e affermarsi". (Alberto Moravia)
Di sicuro Montaldo e i suoi co-sceneggiatori Lucio Battistrada, Armando Crispino e Giuliani De Negri non potevano immaginare quanto di profetico ci fosse in questo film, che racconta la storia di un industrialotto spregiudicato che continua ad accumulare debiti, riesce a farla franca con la giustizia e finisce addirittura per compiere un omicidio e rimanere anche in questo caso impunito. Un uomo vile, viscido, amorale, fondamentalmente impotente (e questa è la ragione per cui ostenta continuamente la propria virilità): un Berlusconi ante litteram. Ma non solo di coincidenze si può parlare, perchè l'Italia del 1965, a boom economico appena concluso, era fertile terreno per una storia di questo tipo, la cui morale si racchiude nella battuta "Avere i soldi ti permette di non pagare": il potere alimenta sè stesso e non deve giustificazioni a nessuno. Così come Zambrini compie la sua parabola trionfale in Una bella grinta (per inciso: di titoli più brutti raramente è capitato di sentirne), allo stesso modo il cavaliere di Arcore farà nella realtà, trasformandosi pian piano da losco palazzinaro con le mani affondate nel fango in vero e proprio criminale, ma un criminale ormai perfettamente in grado di aggirare accuratamente la legge. Purtroppo la forma (visiva) non corrisponde alle straordinarie intuizioni di scrittura, anche perchè Una bella grinta è in fondo il secondo film di Montaldo regista (escludendo il pasticciato — e introvabile — documentario Nudi per vivere, girato assieme agli amici Giulio Questi ed Elio Petri, e un sketch in un film a episodi) e la sua mancanza di inventiva si nota facilmente. In particolare la parte che risente maggiormente dell'inesperienza del regista è quella centrale, durante la quale i dialoghi vengono ridotti sensibilmente (la macchina da presa segue la fuga del protagonista, solitario) e l'azione prende a correre su binari monotoni: il tutto è salvato solamente da una strepitosa colonna sonora swing, firmata dal grandissimo Piero Umiliani. Renato Salvatori è lievemente imperfetto, forse proprio perchè diretto da un regista non particolarmente esperto, ma il personaggio è assolutamente il suo: duro, scontroso, furbo ma con malizia quando non pura malvagità. Fotografia, molto bella, in bianco e nero che risalta le desolate campagne emiliane invernali in cui la storia si svolge, a cura di Erico Menczer, che aveva appena finito di girare La vita agra dell'amico (di Montaldo) Lizzani. (da cinerepublic.film.tv.it)

09/11/11

Rapporto Confidenziale Numero 35

Rapporto Confidenziale
rivista digitale di cultura cinematografica
numero35 – speciale Locarno 64
 
free download
• anteprima
 Introduzione e bilancio (parziale) di dieci giorni di cinema
di AG+RR

Locarno è per Rapporto Confidenziale uno di quegli appuntamenti irrinunciabili che capitano una volta l’anno e che si attendono con curiosità ed entusiasmo. Ciò accade per vari ordini di motivi, in primis perché, essendo formalmente una rivista ed un progetto editoriale con sede a Lugano, sarebbe per noi inconcepibile non seguire un Festival che è, tra i grandi europei, il più prossimo.
Ma Locarno per noi significa anche e soprattutto un luogo in cui la nostra passione per un certo tipo di cinema, che è di ricerca, che è indipendente e che si vede altrimenti con difficoltà, trova la propria epifania, manifestazione di una fede tutta cinefila.
Certo la sede è Svizzera ma italiani sono i nostri interessi, i nostri collaboratori e pure la direzione editoriale (insomma non siamo svizzeri per motivi fiscali, ma nemmeno identitari, siamo “mezzo e mezzo”, ambigui come ad ogni doppia cittadinanza compete) e, se volete, italiana è pure l’attitudine: come il ritardo della pubblicazione di questo speciale segnala.
Per il terzo anno consecutivo abbiamo prodotto uno speciale monografico dedicato alla kermesse che da conto, non necessariamente di tutto quello che abbiamo avuto modo di vedere, ma soprattutto di quanto riteniamo sia il caso condividere. Difficilmente in queste pagine leggerete stroncature o invettive contro film o registi. Lo speciale Locarno 64 è davvero un Rapporto confidenziale, ovvero, come nel linguaggio diplomatico, un documento strettamente riservato che contiene informazioni in merito a ciò che ci pare degno di nota da condividere con i nostri lettori, ed al contempo uno strumento per cristallizzare la nostra memoria di spettatori, ma anche il nostro ricordo personale perché durante queste dieci giornate di cinema quel che prima di tutto è accaduto è stata la vita, una parentesi gioiosa – pur se faticosa – in cui abbiamo vissuto con l’incoscienza del bambino, correndo appresso a film e registi per realizzare interviste, scoprendo attraverso il cinema parti di noi stessi che ancora ci sfuggivano. Ci piace pensare che tutto questo possiate incontrarlo nelle pagine che seguono e che possiate con noi condividere l’utopia che un festival cinematografico, prima di tante altre cose, sia un momento di vita extra capace di riconciliarci con la vita tout-court.
Quest’anno, inoltre, volendo puntare in maniera ancora più incisiva sulle interviste video, RC ha potuto contare per la prima volta sulla fattiva e felice collaborazione con il collettivo milanese di cineasti Sette Secondi Circa, che si è occupato della produzione, realizzazione e post-produzione delle interviste.
(continua…)


Sommario – numero35, speciale Locarno 64

4 Introduzione e bilancio (parziale) di dieci giorni di cinema | AG+RR
10 • Intervista al Direttore artistico Olivier Père | AG+RR
19 Babyland di Marc Fratello | AG+RR
20 Bachir Lazhar (Monsieur Lazhar) di Philippe Falardeau | RR
22 Bez sniegu (Without Snow) di Magnus Von Horn | AG
23 Bora Bora di Bogdan Mirica | RR
24 Crulic – drumul spre dincolo (Crulic – The Path to Beyond) di Anca Damian | RR
26 • Intervista a Anca Damian | RR
30 Din dragoste cu cele mai bune intentii (Best Intentions) di Adrian Sitaru | RR
32 • Intervista a Adrian Sitaru | RR
36 Dernière Séance (Last Screening) di Laurent Achard | RR
38 Der Sandmann (The Sandman) di Peter Luisi | RR
40 El año del tigre (The Year of the Tiger) di Sebastián Lelio | AG
43 • Intervista a Sebastián Lelio e Luis Dubó | AG
48 É na terra não é na lua (It’s the Earth not the Moon) di Gonçalo Tocha | RR
52 • Intervista a Gonçalo Tocha | RR
56 Glauser di Christoph Kühn | RR
58 • Intervista a Christoph Kühn | RR
62 Hashoter (Policeman) di Nadav Lapid | AG
66 Hodejegerne (Headhunters) di Morten Tyldum | RR
68 Inconscio italiano di Luca Guadagnino | AG
70 • Intervista a Luca Guadagnino | RR
77 L’Ambassadeur et moi di Jan Czarlewski | RR
78 L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin | RR
80 Liberdade di Gabriel Abrantes, Benjamin Crotty | AG
81 Links-Rechts (Left-Right) di Tom Willems | AG
82 Memories of a Morning (Recuerdos de una mañana) di José Luis Guerín | AG
84 Milano 55,1. di Luca Mosso e Bruno Oliviero | AG
86  Intervista a Luca Mosso | AG
90 Ninifuni di Tetsuya Mariko | AG
92 Onder ons (Among Us) di Marco van Geffen | AG
94 Respect di Benoit Forgeard | AG
95 Séptimo di Valentina Chamorro | RR
96 Solnetchniye dni (Sunny Days) di Nariman Turebayev | RR
98 Srak (Reality Check) di Michal Vinik | RR
100 Super 8 di J.J. Abrams | RR
102 Tahrir di Stefano Savona | AG
104 • Intervista a Stefano Savona | AG
108 The Color Wheel di Alex Ross Perry | RR
111 • Intervista a Alex Ross Perry | RR
116 The Loneliest Planet di Julia Loktev | AG
118 The Substance – Albert Hofmann’s LSD di Martin Witz | RR
120 • Intervista a Martin Witz | RR
124 Tokyo Koen di Shinji Aoyama | AG
126 Vol spécial di Fernand Melgar | RR
130 • Intervista a Fernand Melgar | RR
135 Without di Mark Jackson | RR
138 Indice dei film per sezione
139 Videointerviste Locarno 64