30/08/11

Rapporto Confidenziale Numero 34

numero34 – estate 2011
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Editoriale di AG+RR

RC34 è un numero postumo. Esce con un ritardo mai visto prima da queste parti: è stato un parto travagliatissimo, che ha richiesto parecchi mesi di sforzi, ha preso forma fra una miriade di fatti imprevisti ed altri prevedibilissimi, ma forse proprio per questa sua difficile nascita è stato in grado di darci parecchie soddisfazioni, di sorprenderci, nato com’è in momento di transizione del progetto RC, nell’attimo stesso di una crescita necessaria. Al solito si tratta di un’accozzaglia di “cose” cinematografiche disparate, un assemblaggio che dietro ad un’apparente casualità nasconde un filo rosso che lega fra loro le parole contenute nella successione di elementi digitali di cui si compone. L’onirica cover donataci da DEM racchiude forse meglio di molte parole il coacervo di forze esoteriche che si muove attorno alla sua realizzazione: fra i temi, i registi e le suggestioni da essa evocati.
Uno degli eventi previsti di cui sopra è stato il Festival di Locarno che, quest’anno come non mai, si è rivelato per noi di RC come un sorprendente e rigenerante momento di appagamento delle velleità che da qualche tempo coltiviamo, un periodo entro al quale abbiamo compreso fino in fondo la bontà e la giustezza della strada ferocemente intrapresa in questi anni: quella di una indipendenza alla quale tenacemente siamo aggrappati e che difficilmente baratteremo per trenta denari. Da qualche settimana siamo già al lavoro alla stesura di un numero monografico dedicato a Locarno 64 che comprenderà circa quaranta recensioni ed una ventina di interviste audio e video che, ne siamo certi, saranno in grado di stupire non solo il lettore più scettico, ma pure ogni nostro affezionatissimo. Siamo al lavoro, ancora ed ancora, perché davvero ci pare di aver compreso il senso di ogni nostro sforzo. Il carattere, della celebre “favoletta morale” wellesiana*, non ci è mai stato così chiaro. Ancora ed ancora vi ricordiamo l’importanza di una donazione, perché non di solo spirito vive l’uomo, tanto meno la redazione di RC, ancora ed ancora vi invitiamo a valutare l’ipotesi di sostenerci.
A prestissimo con il nuovo numero,
e come sempre,
buona visione.

SOMMARIO | numero34 – estate 2011

04 >> COVER34 | DEM
05 >> EDITORIALE | AG+RR
06 >> LE MACERIE DELLA STORIA: IL CINEMA DI JEAN-GABRIEL PÉRIOT | Giampiero Raganelli
08 >>
 /silent.era MENSCHEN AM SONNTAG. SEI UOMINI DI DOMENICA | Roberto Rippa
14 >> PER FORTUNA LE LUCI SI SPENGONO. CRONACHE E IMPRESSIONI DALLA 47a MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA / PESARO, 19-27 GIUGNO 2011 | Francesco Selvi
20 >> 
/silent.era VICTOR SJÖSTRÖM. I PROSCRITTI | Fabrizio Fogliato
27 >> /cineforum di idee DATEMI UN CORPO | Toni D’Angela
30 >> LA CELESTINA P… R… | Matteo Contin
32 >> WESTLER. L’AMORE OMOSESSUALE OLTRE IL MURO | Simone Buttazzi
35 >> BURLESQUE. IL FILM DI STEVE ANTIN PER RAGAZZINE DI 15 ANNI E PER UOMINI CHE VORREBBERO ESSERE COME LORO | Scott Telek
40 >>
 /speciale IL MISTERO DEL CARTONE SCOMPARSO DI FEDERICO FELLINI E KREMOS. LA VERA STORIA DI “HELLO JEEP!” | Mario Verger
50 >> /silent.era WITHIN OUR GATES, IO SONO LA PORTA. OSCAR MICHEAUX DENTRO LE NOSTRE PORTE | Leonardo Persia
52 > >
 /intervista LA RIMODULAZIONE DELLE IMMAGINI PREESISTENTI. INTERVISTA A FRANCESCO BERTOCCO | Alessio Galbiati
56 > > /extra FRANCESCO BERTOCCO IN CINETECA
58 > > LUCA IL CONTRABBANDIERE. TERRORISMO CINEMATOGRAFICO TRA POLIZIOTTESCO E HORROR
 | Fabrizio Fogliato
62 > > CENNI BIOGRAFICI SU LUCIO FULCI | Roberto Rippa
68 > >
 /intervista INTERVISTA A MATTEO CONTIN, CO-REGISTA DEL DOCUMENTARIO "ABSIGNE. AN ALPHABETICAL PORTRAIT OF SIGNE BAUMANE" | Mario Verger
71 > > /the1linereview GUIDA CONCISA ALLE ARTI CINEMATOGRAFICA E TELEVISIVA | Iain Stott
RC34 trailer from Rapporto Confidenziale on Vimeo.

28/08/11

Trash (Paul Morrissey)

Trash
di Paul Morrissey (1970 USA 110')
New York. Joe, ragazzo da marciapiede, assiste, nudo su un divano, allo spogliarello di un'amica che lo vuole eccitare e non ci riesce. A casa, Joe subisce le angherie di Holly, sua compagna, una feticista che colleziona rifiuti. Successivamente, i due incontrano altre persone che tentano di coinvolgerli nei loro giochi erotici. Alla fine cercano di imbrogliare un funzionario statale per ottenere il sussidio di disoccupazione, mentre Joe manifesta sempre più chiaramente la propria impotenza dovuta all'abuso di droghe. "Girato nel corso di 8 sabati pomeriggio, Trash è un film a basso costo, ed è un film rozzo, immediato, privo di fronzoli. Saggio sulle aberrazioni sociali, a metà tra l'hardcore e il cinema della negazione, risente dell'influenza di Warhol. L'uso ossessivo del piano sequenza attesta l'oggettività che si vuole imprimere alla vicenda: Trash è una reale finzione, dove il principio di realtà annulla l'artificio (ecco allora che Holly è un travestito, e che tutta la degradazione descritta è assolutamente ricostruita)" (cit da Nuovo Dizionario universale del Cinema). Trash compone - assieme ai successivi Heat e Flesh - una trilogia che è al tempo stesso un ritratto della marginalità newyorchese di fine anni Sessanta ed il tentativo di divulgare, spettacolarizzandola per quanto possibile, l'estetica di Andy Warhol. Vale la pena ricordare che l'edizione italiana del film ha avuto non pochi problemi di censura ed è stata curata da Pier Paolo Pasolini per quanto riguarda l'adattamento dei dialoghi. Il poeta ha voluto usare voci non impostate, di persone che non abbiano mai seguito corsi di dizione. Holly, il travestito coprotagonista, nel 1970 ricevette dall' Academy of Motion Picture Arts and Sciences la notizia che George Cukor stava facendo una petizione affinché fosse candidata all'Oscar per la sua interpretazione in Trash.
Lou Reed fa riferimento a lei in Walk on the Wild Side, nei versi:

« "Holly came from Miami FLA, / hitch-hiked her way across the USA, / plucked her eyebrows on the way, / shaved her legs, and then he was a she..."

27/08/11

Barbet Schroeder

Barbet Schroeder

Nella graduatoria delle carriere atipiche cinematografiche Barbet Schroeder è ai primi posti nella cinematografia mondiale, non foss'altro per la distanza tra la sua attività di oggi e quella dei suoi esordi, percorsi da tematiche scuotenti quali la fuga dal grigiore e dal conformismo quotidiani, il sogno di un amore assoluto e palingenetico, l'utopia della liberazione attraverso la droga. Da La Vallée e More (Di più, ancora di più) pellicole epocali della cultura hippie a Maitresse, passando per Géneral Idi Amin Dada, Autoportrait, interpretato dal capo dello stato ugandese, virando sul documentario bizzarro Koko il gorilla parlante; la cinematografia di Schroeder si afferma come una delle più complesse e indefinibili nello scacchiere del cinema contemporaneo europeo. Negli anni Ottanta la sua carriera ha subito una nuova svolta: un inatteso sbarco a Hollywood dove sembra agitato dall'idea di trasformarsi lentamente in un perfetto cineasta classico americano con i film Barfly, Il mistero Von Bulow, Inserzione pericolosa, Il bacio della morte, Prima e dopo e Soluzione Estrema. Quando ormai il nostro sembra dato per perso neii meandri del cinema commerciale americano, ci sorprende nuovamente e ci regala due perle anomale come il durissimo La Vergine dei sicari e il film sullo scrittore di culto giapponese Rampo Edogawa Inju, la bete dans l'ombre. Per rendergli omaggio pubblichiamo una sua vecchia intervista a cura di A.Morini.
"Vorremmo cominciare a parlare dei suoi primi due lungometraggi, More del 1968 e La Vallée del 1973. Entrambi i film, per quanto girati a 5 anni di distanza, ruotano attorno al periodo più intenso della contestazione giovanile, della quale affrontano l'aspetto meno direttamente politico. Perché la scelta di parlare della cultura Hippy, dei miti della fuga dalla società dei consumi, della droga, piuttosto che del maggio francese e delle sue conseguenze?"
Senta, io avevo per principio di parlare sempre delle cose che conoscevo già, da una parte, e dall'altra di girare dei film su personaggi che esistevano realmente. E quindi il mio primo film More gira intorno ad una storia vera, ad una storia che conoscevo. Inoltre non mi interessava affatto il ritratto di una generazione o di un'atmosfera; quello che volevo fare era una variazione sul tema della femme fatale, una femme fatale in T-shirt. Questa era l'idea. Doveva essere una storia di droga, di distruzione, con al centro una femme fatale. Quanto a La Vallée, in quel caso l'intenzione era mostrare ciò che succedeva all'interno del movimento hippy: anche qui il film partiva da un personaggio vero che avevo incontrato e che non andava alla ricerca di una valle, ma di un'isola. All'inizio il film prevedeva un gruppo di venti persone su una giunca cinese, alla ricerca di un'isola che era stata aggiunta alla carta geografica. Poi, per questioni finanziarie, sono stato costretto a ridurre la dimensione del film, e la storia è diventata quella di 6 persone su una jeep che cercano una valle. Comunque veniva mantenuta l'idea di un viaggio utopico verso un'innocenza primitiva.
"Entrambi i film raccontano, seppure in modi diversi, esperienze autodistruttive. Nel senso che la ricerca della propria liberazione alimenta parallelamente, nei protagonisti, pulsioni negative di vario segno. Questa visione corrisponde all'idea che lei si era formato delle culture alternative e libertarie di quegli anni?"
Sì, credo di averne sentito intensamente l'ambiguita'. Anche il titolo del primo film More era ambiguo. Dava l'idea di un di più, e nello stesso tempo l'idea della morte. E nel secondo film si immagina perfettamente che questa gente morirà, una volta giunta alla fine della valle. Resta dunque questa ambiguità: hanno veramente trovato la valle? O molto semplicemente sono morti perseguendo una propria follia? Non si tratta esattamente di autodistruzione. Piuttosto è l'idea di un sogno, che possiamo considerare molto bello oppure completamente folle e stupido. Fra l'altro la discussione è ripresa dal Dialogo delle marionette di Frank Light, e gira intorno all'idea seguente: "Si può ritrovare il paradiso? Per ritrovare il paradiso, la miglior cosa da fare non è piuttosto mordere una seconda volta la mela della conoscenza?" E si conclude che l'idea di ritrovare il paradiso è un'idea destinata a fallire.
"Sia in More che in La Vallée vi è un profondo rapporto tra la musica e le immagini. La musica, composta dai Pink Floyd, dunque da una delle band leggendarie nella storia del rock, è parte stessa dei film e contribuisce a definirne il senso generale..."
L'idea musicale del film, per me, era che si trattava di film senza musica da film, e che la musica doveva essere quella che la gente sentiva. Era una musica che aveva sempre una fonte nell'immagine e nella scena ed era una musica sempre giustificata, perché i personaggi stessi la ascoltavano. Non era una musica venuta dal cielo come una specie di commento, o usata per manipolare emotivamente il pubblico. Credo ci fosse una specie di onestà nell'uso della musica. D'altra parte, la musica in entrambi i casi è stata composta come qualsiasi musica da film, pensandola in relazione alle singole scene. Ma di ogni intervento musicale veniva mostrata sempre la fonte, che fosse una cassetta o una radio accesa.
 "Successivamente, lei ha diretto un bellissimo documentario su Idi Amin, il dittatore ugandese, quindi Maitresse. In quale direzione aveva pensato di orientare la sua ricerca, e da cosa si è sentito stimolato, dopo le esperienze fortemente caratterizzate di More e La Vallée?"
La cosa che occorre osservare è che con La Vallée ho tentato un'esperienza veramente molto speciale. E non sono del tutto sicuro di esserci riuscito, cioé ho provato a fare un film assolutamente non drammatico, cioé un film che rifiutava la drammaturgia: ogni volta che si apriva la possibilità di creare un momento d'azione drammatica, questo veniva rifiutato a beneficio della contemplazione. Tentavo il film veramente contemplativo. E quindi La Vallée è molto lontano da More, perché More era un film profondamente drammatico. la tensione al cinema contemplativo è qualcosa che proveniva dalle mie pulsioni documentarie; o forse esse provenivano da lì. Ma molto presto mi sono orientato verso un cinema più drammatico. Maitresse è in un certo senso una prova di remake di More. Una storia che è quasi un fait divers, uno stralcio di cronaca nera.
"Negli ultimi anni lei ha deciso di trasferirsi, professionalmente, negli USA. Perché? Che cosa ha pensato che il cinema americano potesse darle in più o di diverso rispetto a quello europeo?"
In realtà, già il mio primo film More era un film americano ed era finanziato da americani con star americane, era in inglese e aveva questo taglio molto drammatico. Il secondo film lo volevo fare in inglese ma non ho potuto. L'ho fatto più tardi in inglese. Poi tutti gli altri film che ho fatto successivamente avrei benissimo potuto farli  in inglese: sono film che non riflettono in nessun modo la realtà francese, che non mi ha mai ispirato. Invece ciò che mi ha sempre ispirato è il cinema americano. Ho visto film americani al ritmo di tre al giorno, in modo esclusivo, per anni e anni prima di cominciare a fare film. E fin dal mio primo film ho cominciato a fare nella mia testa film americani.

26/08/11

Gagarin Festa Spaziale

GAGARIN ORBITE CULTURALI organizza FESTA SPAZIALE in coll. con Clandestino
Sabato 27 agosto, Giardino del Mic, viale Baccarini 19 Faenza. Ore 21.30. Programma: concerto di Vince Vasi (theremin), performance electro new vawe di Cascau & Lady Maru a seguire dj set spaziale di Luigi Bertaccini + Davide Fabbri (Diagonal).
Gradito abbigliamento a tema 

25/08/11

Striptease

Striptease
di Bruno Bozzetto (1977)

23/08/11

Les Nuits électriques (Eugène Deslaw)

Les nuits électriques
di Eugène Deslaw (1930 FRA 12')
Music by Gabriel Ananda & Cat Power

22/08/11

Kristove Roky (Juraj Jakubisko)

Kristove Roky - Gli anni di Cristo
di Juraj Jakubisko (1967 CECOSLOVACCHIA 95')
Un delirio di immagini ferali e crudeli costituisce il tessuto connettivo e la lancinante espressione visiva di un incubico approccio alla realtà vista come un alternarsi di inutili illusioni, di brucianti tormenti, di impietose asperità; un cinema che per la sua ascensione visionaria ricorda quello dell'armeno-georgiano Paradjanov, che come questo è da considerare tra i più cospicui risultati del cinema contemporaneo...(L.Micciché)
“Quando facevamo il cinema, nel periodo fino al’66-’67, sotto il titolo di ogni film c’era un numero, cinque o sei cifre: era il numero della censura, che attestava che il film aveva ottenuto il permesso oppure no. 
Il meccanismo della censura funzionava per lo più così: arrivava un signore, un funzionario addetto, era da solo, si metteva a vedere il film, iniziava la proiezione, lui stava lì con un timbro e col taccuino per gli appunti, certe cose erano approvate altre no. Mi ricordo come tutti quelli della direzione artistica gli giravano intorno, gli portavano un caffè, un po’ di vodka….poi ancora un po’ di vodka..per farselo amico. La cosa importante era ottenere quel timbro, affinchè il film potesse uscire, altrimenti iniziavano le rogne, bisognava aggiustare delle scene ecc. 
Nacque così un uso particolare, che noi chiamavamo “cagnolino bianco”. Gli autori inserivano nel film qualcosa davvero marchiano, per esempio una donna nuda, un appunto chiaramente politico, insomma una cosa che non sarebbe passata mai e poi mai. Il funzionario diceva: “Bene, questo film lo approvo, ma quella scena deve essere tolta”. E noi non potevamo che essere contenti perché il film sarebbe stato proiettato. Con cosidetti “cagnolini bianchi” distraevamo l’attenzione dalle cose cui davvero tenevamo. 
Nel periodo della Primavera di Praga si diceva che avrebbero abolito la censura. Ci fu un periodo di apertura, ma naturalmente dopo ’68 la situazione si fece di nuovo pesante. Mi cacciarono dal cinema di fiction e alla fine mi misero a fare i cortometraggi e documentari ( Nota: al regista, che nel 1970 stava lavorando al film Dovidenia v pekle, priatielia/ Arrivederci all’inferno, amici, la cui lavorazione fu interrotta a causa di censura per poi terminarlo con alcune modifiche nel 1990, praticamente venne impedito lavorare per circa 10 anni) 
In seguito iniziarono a succedere le cose molto spiacevoli. Ricordo che venni insultato durante le riunioni con frasi tipo: “Quello è un anti-comunista, un anti-socialista, un traditore!” La gente iniziò a girarmi le spalle, avevo smesso di esistere. All’improvviso sentivo un vuoto antorno. Queste erano le cose difficili da sopportare, perché la gente inizia a temere per la propria esistenza. Quel timore ci perseguitò per tanto tempo, e introdusse un nuovo tipo di censura, che prima non conoscevamo. Furono fatte circolare le istruzioni precise: se fosse stato realizzato un film sbagliato, l’avrebbero pagata il direttore della produzione, il responsabile della sceneggiatura. Le persone iniziarono ad avere la paura: “Juraj, non puoi scrivere le cose del genere, ti prego, io ho figli, ho una moglie…” Nacque così l’autocensura. Nelle proiezioni di prova, i responsabili radunavano amici, familiari, gli autisti, e si guardava il film tutti insieme e ci si chiedeva, ci si scervellava su cosa si sarebbe dovuto togliere per non creare i fastidi. E sorgevano così dei casi assurdi, da non credere. Mentre giravo “Postav dom, zasad strom” (costruisci una casa, pianta un albero, 1979) mi fermarono e mi dissero che dovevo togliere una scena perché un ministro si era lamentato. In quella scena non c’era niente, solo due persone che parlano, il testo era innocuo. Andai da questo ministro che mi disse: “Il testo non c’entra niente, ma cos’hanno dietro quei due?” “Un muro” “E cosa c’è sul muro?” “Mah, mi sembra un quadro con l’immagine di un piccolo villaggio…” “Bravo, compagno, te lo ricordi bene, eh? Al centro di quel piccolo villaggio c’è una chiesa e sulla chiesa c’è una croce! Chissà cosa si immagineranno i nostri nemici, questo genere di cose non ce le possiamo permettere!” 
Allo stesso modo non si potevano mettere nei film calendari con la data 21 in evidenza, perché sarebbe stato un riferimento al 21 agosto, giorno dell’invasione dei russi. All’improvviso iniziarono a censurare le cose più improbabili. 
Fummo costretti a sopravvivere nell’umiliazione. Alcuni furono bollati come “traditori” e messi sulla lista nera. Anche il mio nome c’era. I procedimenti punitivi verso gli oppositori però non si limitavano alle persone incriminate, ma erano ampliati alle loro famiglie. Così mia moglie Dana perse il posto a teatro, e anche sua madre fu discriminata. Non potevi nemmeno dire: “Almeno pagherò io, per i miei atti”. Sapere che possono essere colpiti i tuoi cari ti mette adosso un terrore speciale."
Fonte: Disertori e nomadi, Il cinema di Juraj Jakubisko, Alpe Adria Cinema 2005

Fugue (Georges Schwizgebel)

Fugue
di Georges Schwizgebel (1998 SVIZ 7')

21/08/11

To kill a dead man (Portishead)

To kill a dead man
Portishead
Regia: Alexander Hemming (1994 USA 9')


La femme qui se poudre (Patrick Bokanowski)

La Femme qui se poudre
di Patrick Bokanowski (1972 FRA 18')

"Immaginiamo un occhio che non sa nulla delle leggi della prospettiva, un occhio che ignora la ricomposizione logica, un occhio che non corrisponde a nulla di ben definito, ma che deve scoprire ogni oggetto che incontra attraverso un'avventura percettiva..."
In questa frase di Stan Brakhage è racchiusa l'essenza dell'affascinante cinema di Patrick Bokanowski, vero e proprio alchimista della settima arte, in Italia conosciuto quasi solamente per "L'Ange" mediometraggio del 1982, trasmesso nelle travolgenti notti di Fuori Orario.
"L'Ange" è un ufo di celluloide, un'opera astratta ed evocativa ambientata in un luogo enigmatico e senza tempo, a colpo d'occhio identificabile come un'immensa scalinata. Le coordinate spazio-temporali del film appaiono sospese ed eterne e gli sperduti personaggi compiono azioni misteriose che culminano in un'accecante esplosione. Il lavoro peculiare sulla luce e l'ombra attuato dal regista e le straordinarie musiche della sua compagna Michèle ne fanno una vera e propria avventura percettiva...
Da scoprire comunque anche le altre opere del maestro francese tutte contrassegnate da una ricerca sull'immagine che approda a esiti originali e visivamente prodigiosi, sempre rifiutando ostinatamente una linearità e coerenza narrativa, tanto che i suoi film vengono ad essere per lo spettatore vere e proprie esperienze psico-sensoriali.
L'approccio alla realtà di Bokanowski è indiretto, spesso letteralmente "filtrato" come nello splendido "Au bord du lac" in cui le riprese effettuate ai bordi di un lago, luogo classico di svago e villeggiatura, vengono distorte attraverso l'interposizione tra l'obiettivo e la realtà di un vetro smerigliato, espediente che permette al regista di forgiare stupefacenti e suggestive visioni pittoriche. Il cinema è scosso nelle sue fondamenta e le immagini mostrano una metamorfosi della realtà filmata e ne negano definitivamente l'oggettività.
Mescolando fotografia sperimentale, effetti ottici e chimica ermetica, Bokanowski nei suoi film raggiunge risultati che lasciano a bocca aperta, capaci perfino di andare ad alterare temporaneamente la percezione di chi guarda, in comunicazione diretta con la nostra essenza profonda.
Capolavoro assoluto del suo cinema geroglifico è il cortometraggio "La Femme qui se poudre" del 1972, grottesca e surreale esplorazione dell'inconscio, immersa in un'atmosfera ancestrale e perturbante, in cui si viene travolti da un turbine di immagini enigmatiche e meravigliose, forse tra le più fiammeggianti mai create, sicuramente film punto di riferimento per le opere più sperimentali e innovative di cineasti da tutti osannati come David Lynch e Guy Maddin.

Rabbit (Run Wrake)

Rabbit
di Run Wrake (2005 UK 8')

20/08/11

Murders in the Rue Morgue (Robert Florey)

Murders in the Rue Morgue - Il dottor Miracolo
di Robert Florey (1932 USA 61')
Al solo scopo di dimostrare al mondo la teoria dell'evoluzione di Darwin, il dottor Miracolo non si crea scrupoli a procurarsi delle vittime al fine di incrociare il sangue di queste con quello di uno straripante gorilla, di nome Erik interpretato dallo specialista di questi ruoli Charlie Gemora, che egli esibisce come fenomeno da baraccone nella terrificante via Morgue. Fuori dallo spettacolo un assistente gobbo è suo complice nel rapimento di giovani donne per trasfusioni di sangue con l'animale, ma il primate si ribella e fugge con la bella Camille per i tetti di Parigi. Sulle tracce del Dottor Miracolo si mette un ispettore di polizia a cui è stata rapita la fidanzata. Tra l'uomo e Erik c'è un rapporto simile a quello che c'era tra il dottor Caligari e Cesare nel cult espressionista Il gabinetto del dottor Caligari. I misteri di Parigi visti attraverso Edgar Allan Poe o meglio attraverso gli stilemi del cinema horror di marchio Universal. La pellicola si presenta con un poker d'assi: Edgar Allan Poe a cui si deve il soggetto ispiratore (alla sceneggiatura collabora anche John Huston); Bela lugosi come protagonista, attore di culto nel Dracula di Tod Browning e attore feticcio di Ed Wood; Karl Freund maestro di luci e ombre espressioniste nella sua meticolosa direzione fotografica e Robert Florey regista rivalutato a cui si deve il testo della mitica trasposizione cinematografica del Frankenstein di Mary Shelley, interpretato poi da Boris Karloff (inizialmente doveva proprio essere Florey il regista, non James Whale, con Bela Lugosi come protagonista). Un horror d'annata con indimenticabili scenografie espressioniste e con un grande riccioluto Lugosi, può contare ben due remake: uno nel 1954 in 3D con Karl Malden al posto di Lugosi e sempre con l'attore Gemora nei panni del gorilla e un altro nel 1971 con Jason Robards come protagonista. Qualche sequenza non può poi non rimandare al mitico King Kong uscito l'anno dopo.

19/08/11

Come in uno specchio (Ingmar Bergman)

Come in uno specchio
di Ingmar Bergman (1960 SVE 89')
"il film era inizialmente chiamato Carta da parati. Pensavo di fare un film su qualcuno che passava abbastanza naturalmente dentro e fuori da un muro ricoperto di carta da parati. C'era una piccola porta nel muro e da questa porta lei entrava in un altro mondo e ne usciva."
Straordinaria pellicola d'impostazione teatrale firmata dal maestro Bergman in stato di grazia incentrata sulle angosce dell'animo umano, sul bisogno di trascendenza e sull'incomunicabilità tra esseri umani. Solamente quattro attori in un'isola sperduta, lontano da Dio e dagli uomini: l'incantevole e suggestiva isola di Fårö nel Mar Baltico (su cui poi il regista deciderà di trascorre gli ultimi anni di vita). Un film con indubbi spunti autobiografici, animato da una fotografia stordente ad opera del grande Sven Nykvist fatta di immaginifiche luci ed ombre, capace di comunicare quasi più con le immagini che con le parole. Quattro personaggi: uno disperato scrittore rimasto vedovo che in nome del successo e del proprio egoismo ha messo da parte l'amore familiare; i suoi due figli Karin e Minus, lei colpita da una grave forma di schizofrenia e in preda a squassanti episodi allucinatori, lui adolescente inquieto e insicuro; insieme a loro il marito medico della figlia, la cui razionalità e i cui farmaci sono incapaci di placare le visioni della ipersensibile moglie. La capacità del regista di farci partecipi degli stati d'animo dei suoi protagonisti è stupefacente e i dialoghi del film sono talmente incisivi da meritare l'immediata trascrizione su carta. Molte le sequenze indimenticabili come l'incipit "con i quattro protagonisti che escono, saltellando, in campo lungo, da un mare fosco color acciaio, quasi uscissero dall'inferno per raccontarci i loro tormenti" o come l'elegantissima sequenza dell'incesto tra i due fratelli girata all'interno di un vascello abbandonato sotto una pioggia battente. Il film, insieme a Luci d'inverno e a Il silenzio, fa parte della trilogia dedicata dal regista al problema religioso e alla ricerca di tracce del silenzioso infinito. Karin attraverso un pertugio della misteriosa e ipnotica carta da parati di una stanza della grande casa riesce a penetrare nell'altra dimensione: "Io passo oltre la parete...mi trovo in un ambiente enorme. Tutto è illuminato e tranquillo. Diverse persone vanno avanti e indietro e quando mi rivolgono la parola le capisco. Tutto è splendido e io sono serena. Alcuni volti irradiano attorno una luce quasi abbagliante. Tutti aspettano Lui che deve arrivare, ma senza nessuna ansia. E dicono che io devo essere presente quando ciò avverrà...a volte provo un'ansia irrefrenabile, un desiderio violento del momento in cui la porta si aprirà e tutti si volgeranno verso di Lui che si fa avanti...Credo che sia Dio, che sia Dio stesso che debba apparirci...Dio scende dalla montagna attraverso il bosco tenebroso mentre intorno le fiere guardano nel silenzio. Dev'essere la realtà. Io non sogno e quello che dico è vero. A volte mi trovo in questo mondo e a volte nell'altro senza che io possa impedirlo". Ma l'apertura della porta nelle sue visioni avrà conseguente nefaste per la sua psiche "ho avuto paura...la porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me e io l'ho visto in faccia: un viso ripugnante e gelido. Si è lanciato su di me, voleva possedermi ma io mi sono difesa. Vedevo continuamente i suoi occhi così freddi e calmi. Non è riuscito a penetrare in me, così ha strisciato sul mio petto e se ne è andato su per la parete. Ho visto Dio...". La vita ha la capacità di sorprendere, sia in positivo che in negativo e all'uomo non rimane che "tracciare un cerchio magico intorno a sé, escludendo tutto ciò che può compromettere i suoi intenti, ma quando la vita spezza il cerchio gli intenti si rivelano meschini e insignificanti. Così tracciamo subito un nuovo cerchio, un nuovo riparo". Ma il riparo definitivo per il regista è l'amore che si configura come la vera e definitiva prova dell'esistenza di Dio: "Dio è la certezza che l'amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini...Ogni genere d'amore, il più elevato e il più infimo, il più oscuro e il più splendido. Ogni specie d'amore...il desiderio e la repulsione, miscredenza e fede...Non so se l'amore dimostra l'esistenza di Dio o se l'amore è Dio stesso...questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione. Di colpo la miseria è diventata ricchezza e la disperazione speranza. E' come essere graziati in punto di morte". Il titolo della pellicola si collega a una frase della Lettera di San Paolo ai Corinti "adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" a testimoniare l'insanabile difficoltà di interpretazione del reale che porta l'artista, il filosofo, l'essere umano ad una ricerca incessante, ricca di spunti e frutti illuminanti, ma ineluttabilmente priva della comprensione assoluta del senso. 

17/08/11

Fahrenheit 451 (Francois Truffaut)

Fahrenheit 451
di Francois Truffaut  (1966 FRA 112')
Strategica incursione nel cinema di genere e nel cinema a colori da parte del dolce Francois Truffaut resa possibile grazie all'adattamento di un romanzo del geniale Ray Bradbury dal titolo italiano di "Gli anni della Fenice". E' la rappresentazione apocalittica di una società futura condannata all'ignoranza da un potere assoluto che impone di bruciare ogni tipo di libro perché leggere è considerato un reato gravissimo. Tutti i cittadini rispettosi della legge devono utilizzare la televisione per istruirsi, informarsi e per vivere serenamente al di fuori di ogni inutile forma di comunicazione. Ed è anche la cronaca della crisi esistenziale di un vigile del fuoco incendiario, di nome Montag,  che casualmente inizia a leggere qualche riga del David Copperfield di Dickens e ne rimane come rapito per poi arrivare a non potere più fare a meno di leggere. La sua scelta lo porterà ad essere escluso dalla società e a dover scappare, ormai irriducibile ribelle, rifugiandosi nella foresta insieme ad un gruppo di strenui resistenti. Il gruppo di rivoluzionari fuggiti dalla società che incontra sono veri e propri uomini/libro che lottano contro il potere imparando i libri a memoria e conservandoli così per il giorno in cui si potranno stampare di nuovo. Costoro costituiscono la memoria letteraria di un'umanità purtroppo assoggettata al sistema e ormai irrimediabilmente inebetita dal bombardamento televisivo quotidiano, ma il fatto che piano piano stiano crescendo di numero fa sperare in un possibile cambiamento. Fantascienza sociologica di gran classe e purtroppo ancora molto attuale in un'epoca in cui i veri eroi, come già faceva notare Kurt Vonnegut Jr, sono i bibliotecari: le "vere sentinelle della libertà che lottano quotidianamente per impedire che certi libri spariscano dagli scaffali e che si rifiutano di rivelare alla polizia il nome di chi li consulta", gli unici che danno gratuitamente la possibilità di accrescere la propria cultura a chiunque gli si presenti, senza distinzione di ceto o di razza. Sempre Vonnegut considerava il libro l'unica fonte attendibile di informazione sulla realtà, in un mondo in cui "televisioni e giornali sono irrimediabilmente diventati esempi di viltà e disinformazione".  Sono parole preziose in un'epoca in cui uno strumento rivoluzionario come Internet è sempre più depotenziato da un uso puramente ludico o perversamente onanista e in cui i social network la fanno da padrone col loro vomitevole carico di cazzeggio compulsivo, commenti banali, disquisizioni ombelicali, concetti elementari e narcisismi variamente ostentati. Il microblogging poi con la tecnica del mordi e fuggi (ogni post inviato è di massimo 140 caratteri), del colpo ad effetto è indubbiamente il futuro e tutto ciò va decisamente sempre più contro l'approfondimento e la ricerca. Sto pensando che ho la casa stracolma di libri, non tutti già letti per mia fortuna...

10/08/11

La Truite (Joseph Losey)

La Truite
di Joseph Losey (1982 FRA 103')
Canto del cigno del maestro Losey: film dimenticato, spiazzante e di rarefatta bellezza, interpretato da una magnetica Isabelle Huppert, appena ventisettenne ma già capace di trasmettere voragini di senso con la sola ambiguità del proprio sguardo perversamente innocente. Il ruolo in origine era stato pensato per Brigitte Bardot, ma bisogna ammettere che la Huppert riesce a rendere in pieno la complessa psicologia di una donna avida d'amore, ma a sua volta incapace di amare, che ha capito che sesso e denaro sono i motori del sistema capitalistico e partendo da questo inizia a sedurre cinicamente ricchi uomini d'affari e grazie ad una tecnica astuta riesce ad ottenere ciò che vuole non concedendo praticamente nulla (paradigmatica la sua maglietta al bowling con scritto davanti forse e sul retro mai). Il film è girato tra la Francia e il Giappone e vi si respirano le differenze culturali tra Occidente e Oriente. Le contraddizioni dell'essere, la disfunzione della sessualità, lo scontro insanabile tra ragione e istinti e una vena di sottile follia permeano tutti i personaggi del film, eccetto il saggio industriale giapponese. Proprio colui che, ammaliato dalla purezza della protagonista, la salverà donandole un allevamento di trote in grande stile in Giappone. La massima che racchiude il senso del film, enunciata dall'icona Jeanne Moreau, vale ancora a trent'anni di distanza: "al giorno d'oggi omosessualità od eterosessualità non significano più nulla. Il punto è essere sessuale o non essere sessuale"...e Losey riesce a fare un film anomalo, ma con intuizioni interessanti sul desiderio, sull'innamoramento e sulla sessualità e soprattutto l'atmosfera ambigua e straniante che permea la pellicola rimane nelle pieghe della mente dello spettatore per lungo tempo.

02/08/11

Xenogenesis (James Cameron)

Xenogenesis
di James Cameron & Randall Frakes  (1978 USA 12')

01/08/11

Electronic Labyrinth THX 1138 4EB (George Lucas)


Electronic Labyrinth THX 1138 4EB

di George Lucas (1967 USA 15')