27/02/11

Private Parts (Paul Bartel)

Private Parts
di Paul Bartel
(1972 USA 85')
Commedia nera e bizzarra partorita come primo film dall'estro spiazzante di Paul Bartel nell'ambito della galassia in celluloide rappresentata dalla factory cormaniana. Una giovane ragazza a Los Angeles scappa dalla casa di un'amica hippie dedita al sesso sfrenato e va a rifugiarsi nell'hotel della grassa ed enigmatica zia Martha, luogo abitato da personaggi assurdi e dediti ad ogni tipo di devianza (tra gli altri un prete gay che colleziona crocifissi e foto artistiche omo-erotiche, un ubriacone che vive tappato in camera, un'anziana signora demente che urla continuamente il nome della nipote Alice, scomparsa in circostanze misteriose). Tra questi vi è un fotografo dallo sguardo magnetico (John Ventantonio), problematico e perverso feticista voyeur, che si guadagna da vivere facendo foto nei peep-shows e si eccita immortalando coppiette appartate all'opera. La personalità ossessiva, perversa e repressa del bel fotografo risulta irresistibile per la ragazza che si presta ai giochi voyeuristici che questi, in forma anonima, compulsivamente le chiede. Tra i due nasce un rapporto amoroso sui generis, ma la mente deviata del fotografo gli permette di avere rapporti solo con una bambola gonfiabile riempita d'acqua e mascherata col volto fotografato della ragazza. La scena in cui l'impotente fotografo si aspira sangue con una siringa per poi iniettarlo nella vulva della bambola simulando l'orgasmo entra di diritto nella Hall of Fame delle bizzarrie cinematografiche di tutti i tempi. Non mancano poi momenti splatter, stilettate blasfeme e richiami allo Psyco hitchcockiano che fanno della visione di questo film un assoluto piacere perverso da gustare in solitudine (ricordo la notevole impressione che mi fece quando lo vidi in una fiammeggiante nottata filmica adolescenziale). Indimenticabile poi la stanza del fotografo, sommo atelier della perversione, che sembra fuoriuscito dai corridoi psichici del Marchese De Sade. Finale shock e a sorpresa che va a completare una vera e misconosciuta chicca del cinema transgenere, assolutamente inusuale e inclassificabile. Bartel, alla Hitchcock, compare in un breve cameo nei panni di un barbone nel parco.

26/02/11

Rapporto Confidenziale Numero 31

rivista digitale di cultura cinematografica
numero31 – febbraio 2011
 free download

Editoriale di Alessio Galbiati

Capriole volanti sul filo dell’acqua d’una spiaggia lontana. A testa in giù a fissare il mondo rivestiti da palloncini sgonfi. Un’immagine gioiosa e vitale, firmata da Agata Olek, fenomenale artista newyorkese che ci ha concesso alcuni fra gli scatti più straordinari delle sue performance artistiche.
A testa in giù a fissare il nostro tempo in movimento, uno scenario globale in rapido mutamento e del quale si faticano a prevedere le traiettorie possibili.
Dittatori che lasciano, altri che resistono, democrazie alla finestra, economie in burrasca. Nel mezzo le nostre vite. Le nostre giornate. Ovattati dalla voce incessante dei media facciamo contabilità di genocidi nella pausa caffè, osserviamo giovani d’un altro continente invadere le strade delle proprie città rivendicando dignità e futuro. Osserviamo, guardiamo dalla finestra nella cornice di un monitor.
A testa in giù a fissare il mondo.

Buona visone..


SOMMARIO | numero31 – febbraio 2011

04 >> COVER30 | OLEK
07 >> EDITORIALE | Alessio Galbiati
08 >> COPIA CONFORME | Olivier Père
10 >> 
DEAD MAN. TRA SPAZI ETEROTOPICI E PERCEZIONI ELETTRICHE | Luciano Orlandini
13 >> 
RIMETTERE A FUOCO L’OBBIETTIVO. NEW MEDIA E FILM FESTIVAL | Julianne Pierce
16 >> 
/speciale 8 VOLTE CHRISTOPHE HONORÉ.
             INCURSIONE EMOTIVA NEL CINEMA DI UN AUTORE ANOMALO | Roberto Rippa
40 >> 
/extra DIECI CORPI DEL REATO di FRANCESCA FINI
             CORPI NEL LABIRINTO| Lorenzo Canova
48 >> 
PER DIO E L’IMPERO | Stickyboy
50 >> 
RETROSPETTIVA INTEGRALE DEDICATA A VINCENTE MINNELLI
             DAL 64. FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO | Olivier Père
53 >> 
CINEMUNIZZA | Andrea Inzerillo
54 >> 
ALL’USCITA DEL CINEMA MI IMBATTO IN SIGNORA DI GENOVA CHE
             NEL CASO STIA LEGGENDO SALUTO. 26° Trieste Film Festival | Francesco Selvi
58 >> 
LA VITA AGRA | Matteo Contin
60 >> 
/extra DER LETZTE MANN | Fabrizio Fogliato
63>> /cineforum di idee LA CASA. DIALETTICA DI INTIMITÀ E IMMENSITÀ | Toni D’Angela
63>> /the1linereview THE 6 BEST OF 2010 | Iain Stott

25/02/11

La Diabolica Provvidenza

Esiste allora una diabolica provvidenza che prepara l'infelicità nella culla, che getta premeditatamente esseri angelici ricchi d'intelligenza in ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque delle anime sacre, votate all'altare, condannate a camminare verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie? L'incubo delle tenebre stringerà in una morsa eterna queste anime elette? Inutilmente si dibattono, inutilmente si addentrano nel mondo, ai suoi fini ultimi, agli stratagemmi; perfezioneranno la loro prudenza, sprangheranno tutte le uscite, barricheranno le loro finestre contro i proiettili del caso; ma il diavolo entrerà nella serratura: una perfetta virtù sarà il loro tallone d'Achille, una qualità superiore il germe della loro dannazione.
(Edgar Allan Poe)

Video: The Last in Line Ronnie James Dio

24/02/11

Ted Hemmann da Daria Bignardi

Imperdibile Ted Hemmann (il protagonista di 
The Human Film di Walter Ciusa)
 da Daria Bignardi
Domani alle 21.30 - sabato alle 2.30
su La7 (Link)
The Human Film
di Walter Ciusa (2005 ITA 80’)
Più vero di Truman show, più irriverente di Borat, più veloce di Forrest Gump, più trasformista di Zelig, più cazzone del grande Lebowski... Ted Hemmann? Mat Podman? Jeff Bouges? Tiny Power? Paul Malone? Quale di questi due uomini esiste? Sono, veramente la medesima persona? Chi sono e cosa si può dire di loro? Probabilmente non è necessario dire nulla, limitiamoci a guardare: l'occhio della telecamera di Walter Ciusa indaga il protagonista in ogni meandro, nell'intimità. Ci permette di stare seduti e godere le continue metamorfosi, e coltivare la segreta speranza di vederlo trasformarsi in un supereroe. Ciusa ha realizzato con pochissimi mezzi (circa 280 euro, un record) "The Human Film", film biografico che attraverso più stili, narra le vicissitudini di un americano in Italia, un certo Ted. 7 anni di riprese (1998/2005) tra Bologna, Roma e Venezia e 30 ore di girato: la maggior parte delle persone ci sfiora, ci passa accanto, senza lasciare alcuna traccia di se, senza che un loro pregio, un difetto rimanga. Altre no, sono diverse, si notano per dissonanza. Atipiche. Non sono migliori; non sono peggiori delle altre. Più interessanti, forse. Sono il nervo scoperto, il sintomo; sono i punti neri di un corpo che è moltitudine. Gli atipici non debbono essere coperti, guariti o schiacciati. Uomini apparentemente insignificanti, segnano invece un'originale tracciatura del tempo che stiamo vivendo. Da non perdere .

Link
Questo film racconta una parte, 10 anni, di una parte della vita di Ted Hemman: A nessuno è dato raccontare tutto il tempo della vita di qualcuno: non c' è mai stato un film tanto lungo...
La telecamera di Walter Ciusa ha seguito Ted per10 anni, dal 1998 al 2008. Il materiale cumulato nel tempo era quindi cospicuo; sono stati fatti tagli, permutate immagini, e montato il tutto per rendere l'essenza del personaggio. Senza obbedire ad un criterio cronologico.
Dentro il film ci sono i suoi comportamenti, i suoi gesti, le sue frasi ripetive e ripetute negli anni, ci sono le testimonianze dei testimoni, ci sono gli episodi salienti.
Ted che grida "viva gli sposi" al matrimonio di Andrea è l'apertura. Un'apertura saliente. Abbastanza saliente da gettare nel terrore i genitori degli sposi, che si trovano dinanzi ad un campagnolo del Connecticut, alto e grosso, che urla come una bestia ferita e che sta mandando all'aria tutto il decoro di una cerimonia che avrebbe dovuto essere come il resto della loro vita, decorosa.
Poi, nel film, iniziano i momenti difficili: Ted si spezza una gamba, ballando, e lo vediamo girare per la città ingessato e con le stampelle, in cerca di alloggio, accompagnato da una giovane ammiratrice.
Assistiamo in diretta alle telefonate fatte alle donne: sono chiamate piene di complimenti, di adulazioni, bugie. Decine di dichiarazioni d'amore.
E poi, di nuovo, è al freddo, con lo zainetto in spalla ed una cuffia di lana in testa, in cerca di un rifugio per la notte. Lo vediamo al risveglio, nel buio di una cantina, mentre riavviolge il sacco a pelo e fa ciao ciao alla m.d.p.
E mentre si sbarba e si mette in giacca e cravatta per il suo lavoro da manager? Di esperto di computer? Di consulente di reti internet?
Affronta con fiducia il nuovo giorno, il nuovo incarico, le sconosciute responsabilità.
Un episodio centrale del film è l'incontro con Franz, un ex parrucchiere che vive nell'abbandono e nella sporcizia. Ted porge ascolto compassionevole alle sofferenze di Franz che poche ore prima si è maciullato il naso contro un predellino di un autobus, e che, in un eccesso narrativo rievoca anche i suoi magnifici anni 80, periodo in cui spacciava cocaina e sparava agli infami.
Ma la leggerezza di Ted prevale, e ci solleva l'anima dall'angoscia del degrado sociale e dell'omicidio; tra poco ci saranno le festività natalizie. Cosa fai a Natale? Chiede a più riprese. Lui se la gode: balla in un veglione. E' senza freni, scatenato; si libera di tutte le sofferenze, delle notti al freddo, delle sconfitte, dei licenziamenti in tronco. Il ballo cancella. E domani è un altro giorno.
Il presente è l'unica cosa che conta. Ora e adesso. Nell'assenza dei retaggi del passato, delle preoccupazioni e dei pensieri del futuro. Nell'assenza di un qualsivoglia pensiero. Come fosse un novello Candide americano, che attraversa la vita correndo e facendosi inseguire da emuli inconsapevoli.
Niente altro che un Forrest Gump: così ci spiega un testimone, Valter Scoccia, che veste i panni del narratore, infatuato del suo eroe, ma anche impietosamente premonitore di una sua probabile e prossima fine.
Ted avrà i suoi sprazzi, i suoi grandi momenti, come in un party in una villa di gente altolocata, tra personaggi di grande spessore sociale ed artistico, e poi subito cadrà in un accesso di ira contro veri o presunti detrattori.
Ciò che ci vuole far intendere il cinico narratore è che non c'è speranza e non c'è vera innocenza per il percorso di uno come Ted. Ma questo è solo il suo punto di vista.
Lo vedremo ancora in situazioni per lui gratificanti, a Venezia e a Roma, mentre insegue e corteggia donne bellissime, ed intervista personaggi come Kusturica e Salvi. Potrebbero essere gli ultimi fuochi.
In realtà non sappiamo quante volte può risorgere uno come lui. Lo vediamo scaricare cassette di surgelati e battere un fuori campo durante un allenamento di baseball. E' appesantito di 25- 30 chili, ha un pancione enorme, ma con la mazza ed il berretto girato all'indietro sorride alla m.d.p.:
Questo ci lascia un dubbio: che possa farcela, ancora una volta?
Canta "My way" in una festa di piazza: La stessa che cantò un americano ricco e felice come Frank Sinatra, la stessa che trent'anni dopo incise Sid Vicious, morto suicida a 23 anni. Questa è la versione di Ted Hemmann.

19/02/11

Risposta a un'inchiesta (Antonin Artaud)

Risposta ad un'inchiesta
di Antonin Artaud
1) Che genere di film Vi piace?
Mi piace il cinema.
Mi piacciono i film di qualsiasi genere.
Ma ogni genere di film resta ancora da inventare.
Credo che il cinema possa ammettere solo un certo genere di film: quello che saprà utilizzare tutti i mezzi sensuali dell'azione del cinema.
Il cinema implica un rovesciamento totale dei valori, un completo sconvolgimento dell'ottica, della prospettiva, della logica. E' più eccitante del fosforo, più avvincente dell'amore. Non si può continuare a distruggere il suo potere galvanizzante facendo ricorso a soggetti che ne neutralizzano gli effetti e che appartengono al teatro.
2) Che genere di film Vi piacerebbe veder realizzato?
Chiedo dunque dei film fantasmagorici, dei film poetici, nel senso denso, filosofico del termine, dei film psichici. Il che non esclude né la psicologia né l'amore, né l'esibizione di ogni altro sentimento umano. 
Purché siano film in cui venga operata una triturazione, un rimescolamento delle cose del cuore e della mente al fine di conferire loro quella virtù cinematografica che resta da trovare. Il cinema richiede dei soggetti eccessivi e una psicologia minuziosa. Esige la rapidità, ma soprattutto la ripetizione, l'insistenza, il ritorno. L'animo umano sotto tutti i suoi aspetti. Al cinema siamo tutti crudeli. E' la superiorità e la legge potente di quest'arte con il suo ritmo, la sua velocità, il suo carattere di lontananza dalla vita, il suo aspetto illusorio, a esigere che tutti gli elementi siano passati attraverso un fitto setaccio e così resi essenziali. Per questo ci chiede soggetti straordinari, stati culminanti dell'anima, un'atmosfera visionaria. Il cinema è un eccitante notevole. Agisce direttamente sulla materia grigia del cervello. Quando il sapore dell'arte accompagnerà in misura sufficiente l'ingrediente psichico che detiene, allora si lascerà alle spalle, lontano, il teatro che relegheremo in fondo all'armadio dei ricordi. Perché il teatro è già un tradimento. Andiamo a teatro molto di più per vedere gli attori che le opere, in ogni caso sono innanzi tutto essi ad agire su di noi. Al cinema l'attore è solo un segno vivente. La scena, il pensiero dell'autore e la serie di avvenimenti si esauriscono in lui. Per questo non ci pensiamo. Charlot interpreta Charlot, Pickford interpreta Pickford, Fairbanks interpreta Fairbanks. Sono il film. Non potremmo immaginarlo senza di loro. Stanno in primo piano senza essere invadenti. Per questo non esistono. Dunque, niente s'interpone tra l'opera e noi. Il cinema possiede soprattutto la virtù di un veleno inoffensivo e diretto, di un'iniezione sottocutanea di morfina. Per questo l'oggetto del film non può essere inferiore al potere d'azione del film - e deve partecipare del meraviglioso.

Programmazione Cinema Marzo 2011 Scaglie

Marzo Cinema 2011 Scaglie
Domenica 6 Marzo ore 21.30
Enter The Void
di Gaspar Noé (2009  FRA/GER/ITA 161')
Ho sempre considerato Gaspar Noé un fuoriclasse e ciò è stato immancabilmente confermato dall'accoglienza negativa che hanno ricevuto i suoi film dalla critica togata. I critici servono soprattutto a quello...se schiantano un film fuori dai canoni, stai pur certo che è imperdibile (Aristakisjan docet), pensate che anni fa leggevo la Bignardi su Repubblica per andare a vedere i film che lei criticava aspramente, ben certo di imbattermi sicuramente in capolavori...e questo Enter the Void è indubbiamente un cristallino capolavoro, incarna alla perfezione una delle idee di cinema di Scaglie. Fin dagli strabilianti titoli di testa e dai primi dieci minuti di pellicola, caleidoscopicamente psichedelici, siamo totalmente immersi in una lisergica esperienza visiva che coinvolge, a volte brutalmente a volte dolcemente, corpo/mente/spirito. Il regista, supportato dalle nuove tecnologie, si avvale di una tecnica cinematografica impressionante che coniuga alla perfezione immagini, montaggio e suoni regalandoci un'opera indimenticabile che affronta svariate tematiche cruciali per l'uomo contemporaneo: la morte, la nascita, la dipendenza da droghe, l'orgasmo, l'aborto, l'incesto, la ricerca della felicità, la perdita dei genitori, la ragione e l'istintualità. E il tutto è girato in una fosforescente, accattivante e labirintica Tokyo in cui vivono lo spacciatore ventenne Oscar e l'innocente sorella minore Linda. Il film parte con le notevoli visioni del giovane conseguenti ad un'allucinazione prodotta da DMT e complicata dalla lettura de Il Libro Tibetano dei Morti, testo di culto per la controcultura degli anni Settanta. Una notte Oscar si rifugia nel bagno del locale del titolo (Void) per sfuggire ad una retata e viene freddato da un colpo di pistola sparato da un poliziotto attraverso la porta. Ciò che vediamo in seguito è conseguente alla sua esperienza extra-corporea, viviamo le sue visioni in soggettiva, dal momento che angelicamente ritorna a sorvegliare la sorellina (in vita avevano fatto un patto di non abbandonarsi mai), che fa la spogliarellista in un night ed è facile preda delle più temibili tentazioni della notte. Il finale al Love Hotel è poi indimenticabile: toccante amalgama di orgasmi, energia orgonica e catarsi ricreatrice. Un film intenso e mesmerizzante, che non ha paura di esagerare in qualche passaggio e che indubbiamente rimane incastonato nel cervello dello spettatore...giustamente paragonato da qualche illuminato a 2001 Odissea nello Spazio. Inutile stare lì a scriverne, bisogna viverlo e possibilmente vederlo su grande schermo. 
Siamo nel Vuoto.

Domenica 13 Marzo ore 20
Proiezione e incontro con gli autori di:
Viaggio a Lampedusa
di  Giuseppe Di Bernardo (2010 ITA 62’)

"Viaggio a Lampedusa" racconta la vicenda di quattro persone che, con la scusa di un viaggio di piacere, vanno alla ricerca di risposte sul fenomeno delle migrazioni partendo proprio dalla piccola isola del Canale di Sicilia. Il lavoro si occupa di un tema di attualità adottando la prospettiva dei lampedusani, quasi mai interpellati a dispetto della fama che la loro isola ha raggiunto negli ultimi anni. Il tentativo del film è quello di rompere uno schema che vuole l’immigrazione clandestina un fenomeno passeggero che è possibile sconfiggere: a guardare la storia, infatti, le migrazioni sono un evento connaturato all’essere umano e non si possono fermare. Un'avventura raccontata in un brillante documentario, "Viaggio a Lampedusa", di Giuseppe Di Bernardo, ovvero la "Perla del Mediterraneo" narrata dai suoi abitanti. Il viaggio si trasforma così nella scoperta dei lampedusani e dei loro problemi: le scuole fatiscenti, l'ospedale che manca (nessuno nasce più a Lampedusa), i costi altissimi dei trasporti, il turismo in crisi, la disoccupazione. Perché anche prima che il governo trasformasse Lampedusa in un filo spinato tra l'Africa e l'Europa, il mare che la circonda, per chi ci vive, nonè mai stato solo uno splendido panorama, ma un enorme «guinzaglio al collo», che né la storia, né quantomeno la politica, sono mai riusciti a spezzare.

A seguire circa ore 21.40
Tetsuo The Bullet Man
di Shinya Tsukamoto  (2009 GIAP 80')
“Cyberpunk e passione. Un incontro dismorfico e roboante quando a farsene interprete è Shinya Tsukamoto. E, soprattutto, quando la tematica diventa il corpo e la sua ibridazione con il meccanico. Dopo vent’anni, il regista di Tokyo ritorna sul suo uomo d’acciaio, con la consueta dose di aggressività ai centri della percezione dello spettatore. Violento, girato con frequenti inserti e immagini disturbanti, Tetsuo The Bullet Man, già in concorso a Venezia, è il terzo capitolo della saga e mostra immediatamente alcune differenze dai suoi predecessori. Per prima cosa, il fulcro non è più il processo di spersonalizzazione dell’individuo nel suo rapporto con una società industrializzata, o meglio lo è solo marginalmente, perché ciò che viene messo realmente in evidenza è una critica diretta e corrosiva all’industria bellica. Da buon autore, Tsukamoto non si abbandona mai al narrativo, ma traduce i suoi intenti filmici in un uso continuo e pervicace del mezzo tecnico. Anthony Ride conduce una vita tranquilla fino a quando il padre non lo contatta per rivelargli un misterioso segreto; subito dopo l’uomo assiste all’omicidio del figlio da parte di un ignoto individuo (lo stesso Tsukamoto). In seguito al drammatico avvenimento e dopo la scoperta di altre menzogne sul suo passato, un feroce desiderio di vendetta porterà Anthony a trasformarsi in una nuova razza di uomo-proiettile, da cui il titolo, che compierà strage di soldati dei corpi speciali che si frappongono al raggiungimento del suo obiettivo...” (A.Perrone)  Terzo capitolo della saga di Tetsuo, altre allucinazioni psichiche in un altro cult di mezzanotte, sempre con uno “stile a metà tra il fumetto e un cut-up di Burroughs”.

Domenica 20 Marzo ore 21.30
The Faculty
di Robert Rodriguez (1998 USA 104')
B-movie all’ennesima potenza, zeppo di citazioni e momenti godibili. Protagonisti un gruppo di studenti di una scuola, ormai fatiscente, della provincia americana. I nostri eroi notano che qualcosa è cambiato nella scuola, più una sensazione che altro, ma gli eventi precipitano. I loro professori sono posseduti dagli alieni ed anche molti dei loro compagni. Uno strano parassita si è impossessato dei loro corpi e delle loro menti e vuole invadere il mondo. Unica arma contro gli invasori: la droga! Una "sniffata" di crack e la morte sopraggiunge quasi istantaneamente. Che idea! Riusciranno i nostri eroi ad impedire che l'alieno vinca? Il film è una palese rivisitazione, in forma giovanilistica, del famosissimo "L'Invasione degli Ultracorpi" in cui i "baccelloni" si impossessavano del mondo (dal libro "Terrore dalla Sesta Luna").

Domenica 27 Marzo ore 21.30
Il vagabondo
di Rainer Werner Fassbinder (1966 RFT 11’)
Primo cortometraggio del maestro Fassbinder.
Le strelle nel fosso
di  Pupi Avati (1978 ITA 92')
Probabilmente il miglior film di Avati. Nel Settecento in una casa isolata delle valli di Comacchio, abitata da Giove e i suoi quattro figli, arriva la bella Olimpia. Tutti s'innamorano di lei, decidendo di sposarla in gruppo, ma dopo le nozze e la festa la bella se ne va. Favola per adulti sulla quale sono sospesi i pericoli del poeticismo, del lezio, del bamboleggiamento. Non li evita, ma ha più di un merito: la luce del paesaggio, un'affiatata squadra di attori. In quest'apologia dell'adolescenza ritardata c'è un piccolo incanto melodico. “Storie antiche e leggende popolari, tra il sacro e il profano, di vita e di morte, strani racconti serali davanti al fuoco, che diventano sogni o incubi notturni. Il potere magico dell’affabulazione, l’incanto delle immagini e il tempo che si ferma. Quanta grazia, quanta poesia; Avati è al suo meglio, nei luoghi che ama e i suoi fedeli attori lo assecondano divertiti, con una sorprendente e bellissima Paladini. Una favola bucolica che rapisce e ci porta altrove, dove labile è il confine tra l'arte e la follia, tra la realtà e la pura immaginazione”.

18/02/11

Enter the Void (Gaspar Noé)

Enter the Void
di Gaspar Noé (2009 FRA/GER/ITA 161')

"Sono nel vuoto.
Non so come cazzo ci sono arrivato.
So che probabilmente mi brucerò, ma è terribilmente scuotente l'emozione che mi dà..."
Ho sempre considerato Gaspar Noé un fuoriclasse e ciò è stato immancabilmente confermato dall'accoglienza negativa che hanno ricevuto i suoi film dalla critica togata. I critici servono soprattutto a quello...se schiantano un film fuori dai canoni, stai pur certo che è imperdibile (Aristakisjan docet), pensate che anni fa leggevo la Bignardi su Repubblica per andare a vedere i film che lei criticava aspramente, ben certo di imbattermi sicuramente in capolavori...e questo Enter the Void è indubbiamente un cristallino capolavoro, incarna alla perfezione una delle idee di cinema di Scaglie. Fin dagli strabilianti titoli di testa e dai primi dieci minuti di pellicola, caleidoscopicamente psichedelici, siamo totalmente immersi in una lisergica esperienza visiva che coinvolge, a volte brutalmente a volte dolcemente, corpo/mente/spirito. Il regista, supportato dalle nuove tecnologie, si avvale di una tecnica cinematografica impressionante che coniuga alla perfezione immagini, montaggio e suoni regalandoci un'opera indimenticabile che affronta svariate tematiche cruciali per l'uomo contemporaneo: la morte, la nascita, la dipendenza da droghe, l'orgasmo, l'aborto, l'incesto, la ricerca della felicità, la perdita dei genitori, la ragione e l'istintualità. E il tutto è girato in una fosforescente, accattivante e labirintica Tokyo in cui vivono lo spacciatore ventenne Oscar e l'innocente sorella minore Linda. Il film parte con le notevoli visioni del giovane conseguenti ad un'allucinazione prodotta da DMT e complicata dalla lettura de Il Libro Tibetano dei Morti, testo di culto per la controcultura degli anni Settanta. Una notte Oscar si rifugia nel bagno del locale del titolo (Void) per sfuggire ad una retata e viene freddato da un colpo di pistola sparato da un poliziotto attraverso la porta. Ciò che vediamo in seguito è conseguente alla sua esperienza extra-corporea, viviamo le sue visioni in soggettiva, dal momento che angelicamente ritorna a sorvegliare la sorellina (in vita avevano fatto un patto di non abbandonarsi mai), che fa la spogliarellista in un night ed è facile preda delle più temibili tentazioni della notte. Il finale al Love Hotel è poi indimenticabile: toccante amalgama di orgasmi, energia orgonica e catarsi ricreatrice. Un film intenso e mesmerizzante, che non ha paura di esagerare in qualche passaggio e che indubbiamente rimane incastonato nel cervello dello spettatore...giustamente paragonato da qualche illuminato a 2001 Odissea nello Spazio. Inutile stare lì a scriverne, bisogna viverlo e possibilmente vederlo su grande schermo. 
Siamo nel Vuoto.

Heavy Metal (Gerard Potterton)

Heavy Metal
di Gerard Potterton (1981 CAN 86')

Una sfera luminosa, il Loch-Nar, racconta ad una ragazzina le catastrofi che ha causato in diverse galassie. Gli episodi (Soft Landing, GRimaldi, Harry Canyon, DEn, Captain Sternn, B-17, So beautiful & so dangerous, Taarna) vanno dal noir urbano alla Blade Runner al fantasy con pterodattili e duelli all'ultimo sangue, mentre nel mezzo c'è anche spazio per la parodia (nell'originale le voci erano, tra gli altri, di John Candy, Eugene Levy, Harold Ramis) e l'erotismo ( a livello di un adolescente che fantastica sulle pin-ups). Il film è un tentativo di portare sullo schermo, grazie ai cartoni animati, la fantascienza eclettica e cinica di Metal Hurlant, mitica rivista di fumetti francese pubblicata a partire dal 1975 dagli Humanoides Associés (P. Druillet, Jean Giraud, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas), che ha fatto della fantascienza e del fantastico amalgamati con un erotismo a volte sadiano il proprio cavallo di battaglia. Il merito di Metal Hurlant e in parte anche di questa pellicola è quello di aver lanciato un tipo di fumetto non convenzionale, capace di fondere tra loro la forza demistificatoria dei comics underground e la correttezza formale del disegno caratteristica del fumetto avventuroso tradizionale. Il ripudio delle convenzioni si nota poi nel rifiuto dell'abituale happy-ending. Il film prodotto da Ivan Reitman (lo stesso produttore dei primi Cronenberg, anche regista di Cannibal Girls e poi di Ghostbusters) vede come mente super-partes il talento eccezionale del compianto Dan O'Bannon(sceneggiatore, curatore degli effetti speciali e a per il primo Carpenter Dark Star; collaboratore di Jodorowsky per il progetto incompiuto Dune; sceneggiatore di Alien e Space Vampires tra gli altri; poi regista dello scult Il ritorno dei morti viventi e del dimenticato The Ressurected). Molto bella la colonna sonora heavy con canzoni di Black Sabbath, Cheap Trick, Nazareth, Devo, Blue Oyster Cult...della serie: quando la Walt Disney non aveva ancora strangolato il mercato...

08/02/11

Nostra Signora dei Turchi (Carmelo Bene)

Nostra Signora dei Turchi
di Carmelo Bene (1968 ITA 124')
"Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l'ha vista mai. Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla. San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando. I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono come se un tale, avendo i piombi alle caviglie e volendo disfarsene, decide di tagliarsi i piedi e si trascina verso la salvezza, tra lo scherno dei guardiani, fidenti a ragione dell'emorragia imminente che lo fermerà. Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo. Chi vola non si sa. Un siffatto miracolo li annienta: più che vedere la Madonna, sono loro la Madonna che vedono. È l'estasi questa paradossale identità demenziale che svuota l'orante del suo soggetto e in cambio lo illude nella oggettivazione di sè, dentro un altro oggetto. Tutto quanto è diverso, è Dio. Se vuoi stringere sei tu l'amplesso, quando baci la bocca sei tu. Divina è l'illusione. Questo è un santo. Così è di tutti i santi, fondamentalmente impreparati, anzi negati. Gli altari muovono verso di loro, macchinati dall'ebetismo della loro psicosi o da forze telluriche equilibranti - ma questo è escluso -. È così che un santo perde se stesso, tramite l'idiozia incontrollata. Un altare comincia dove finisce la misura. Essere santi è perdere il controllo, rinunciare al peso, e il peso è organizzare la propria dimensione. Dove è passata una strega passerà una fata. Se a frate Asino avessero regalato una mela metà verde e metà rossa, per metà avvelenata, lui che aveva le mani di burro, l'avrebbe perduta di mano. Lui non poteva perdersi o salvarsi, perchè senza intenzione,inetto. Chi non ha mai pensato alla morte è forse immortale. È così che si vede la Madonna. Ma i cretini che vedono la Madonna, non la vedono, come due occhi che fissano due occhi attraverso un muro: un miracolo è la trasparenza. Sacramento è questa demenza, perchè una fede accecante li ha sbarrati, questi occhi, ha mutato gli strati - erano di pietra gli strati - li ha mutati in veli. E gli occhi hanno visto la vista. Uno sguardo. O l'uomo è così cieco, oppure Dio è oggettivo. I cretini che vedono, vedono in una visione se stessi, con le varianti che la fede apporta: se vermi, si rivedono farfalle, se pozzanghere nuvole, se mare cielo. E davanti a questo alter ego si inginocchiano come davanti a Dio. Si confessano a un secondo peccato. Divino è tutto quanto hanno inconsciamente imparato di sè. Hanno visto la Madonna. Santi. I cretini che non hanno visto la madonna, hanno orrore di sè, cercano altrove, nel prossimo, nelle donne - in convenevoli del quotidiano fatti preghiere - e questo porta a miriadi di altari. Passionisti della comunicativa, non portano Dio agli altri per ricavare se stessi, ma se stessi agli altri per ricavare Dio. L'umiltà è conditio prima. I nostri contemporanei sono stupidi, ma prostrarsi ai piedi dei più stupidi di essi significa pregare. Si prega così oggi. Come sempre. Frequentare i più dotati non vuol dire accostarsi all'assoluto comunque. Essere più gentile dei gentili. Essere finalmente il più cretino. Religione è una parola antica. Al momento chiamiamola educazione" (Carmelo Bene)

"Da dietro lo specchio, al di là della morte, Bene-Narciso riscrive la storia a partire dalla propria soggettività, estrema certezza contro l'oggettivazione e la mercificazione della società capitalistica. In tale prospettiva, l'accumulo dei materiali (detriti) visivi non corrisponderà a un progetto razionale, non seguirà una logica - la ragione è estranea al soggetto - ma solo il puro desiderio o il ricordo o anche la stessa esigenza cromatica delle immagini. Nostra Signora dei Turchi, il primo e forse miglior film di Bene, utilizza tutti i procedimenti retorici e stilistici cinematografici per comunicare allegoricamente l'incomunicabilità del mondo, ovvero il non-essere dell'uomo: la totale oggettivazione del reale rende vana la parola. Il lavoro della morte è dunque la cifra essenziale della società capitalistica". (S. Toni)
"Qui lo spunto da cui muove l'autore è una leggenda cristiana secondo cui i turchi avrebbero compiuto a Otranto, in pieno XV secolo, efferata strage di 800 inermi cristiani. Immedesimandosi in una delle vittime, Bene (l'autore è anche attore protagonista) rivive quel mito che eroicamente parodia, scontrandosi e confrontandosi con un'immaginaria Santa Margherita da Otranto, ora celestiale salvatrice discesa dall'altare per proteggerlo, ora spregiudicata amante prodiga in erotiche consolazioni. Ma al centro del film, e di quasi tutte le inquadrature, ora sepolto fra piatti che colano sugo, ora rinchiuso nell'armatura di Alfonso il Magnanimo e cercando di copulare egualmente con una sguattera, nonostante la ferraglia, ora facendosi iniezioni alle natiche sulla pubblica piazza, ora immergendosi nelle volute di un valzer con un omosessuale, c'è sempre lui, Carmelo Bene, in un caleidoscopio di immagini rutilanti, di accensioni cromatiche, di suggestioni sonore, di broccati e di fuochi d'artificio con una vistosa e incongrua mancanza di misura immaginifica, sottolineata, sulla colonna sonora, dalle musiche gradevolmente kitschliges dei valzer viennesi o da quelle assordanti del melodramma ottocentesco. Farsa tragica della vita interiore, come lo stesso Bene l'ha definita, Nostra Signora dei Turci mette alla berlina e copre di sberleffi l'umanesimo italico meridionale con i suoi miti sensuali e barocchi di barbarie e di martirio". (L. Miccichè)

06/02/11

Drugstore Cowboy (Gus Van Sant)

Drugstore Cowboy
di Gus Van Sant (1989 USA 100')
Opera seconda di Gus Van Sant, tratta da un racconto parzialmente autobiografico di James Frogie e girata con piglio quasi documentaristico. Van Sant, come il suo protagonista, rifiuta ogni compromesso, senza cedere al ricatto delle emozioni, né pietoso né spietato, senza condannare e senza difendere, ricorda che la morte è una componente essenziale di ogni scelta vitalistica e che esiste anche chi, per eccesso, la sfida. Ci troviamo a Portland, nell'Oregon (città natale di Van Sant), agli inizi dei duri anni Settanta, e per Bob Hughes e la sua piccola gang l'unica cosa visibile che è rimasta della controcultura dei magnifici Sessanta è la droga, e il suo strascico quasi fatale di piccole delinquenze e sbrago morale. Scrive Morsiani "la macchina da presa è brutalmente oggettiva nel descrivere un'esistenza ai margini della società, ma poi diventa improvvisamente lirica quando si mette a dipingere gli alti e i bassi dei suoi poveri eroi, in una tavolozza di intenso dinamismo (Bob che si finge preda di una crisi epilettica durante il furto nella farmacia) o di provocatoria visionarietà (l'incontro con William Burroughs, rivelatore del degrado morale della nostra società ben oltre il problema-droga...) o di elettrizzante grafismo (i primi piani dell'iniezione nell'automobile; le nuvole che si muovono veloci nel cielo, simbolo di un'avventura che corre dritta verso l'abisso". Un film duro, esplicito, vertiginoso, ellittico, che fa dell'allucinazione da droga la sostanza del suo stesso stile, in cui Matt Dillon offre la sua migliore prova d'attore.

05/02/11

Ossessione (Luchino Visconti)

Ossessione
di Luchino Visconti (1943 ITA 135')
E' il primo film di Visconti che per la sceneggiatura traduce, modificandone il senso, il romanzo dell'americano James Cain "Il postino suona sempre due volte". Ambientato nella pianura ferrarese e in mezzo ai paesaggi del fiume Pò, Ossessione è il film capostipite della corrente neorealista italiana, influenzato dai toni del cinema francese del periodo con particolare riferimento allo stile poetico di Jean Renoir. All'epoca venne prima tollerato e poi ferocemente boicottato dal regime fascista, configurandosi come un'opera di rottura decisa dal cinema dei telefoni bianchi e da quello di propaganda storico. In realtà si tratta di un film fortemente politico, certo cupo e pessimistico, dove l'illusione di poter fuggire da un mondo squallido e senza speranza viene ad essere il tema che l'autore delinea con maggior passione. "Quelli che più e meglio hanno creato dei mondi sono Carné e Renoir, uno con un impeto un po' scomposto e l'altro con il raggiungimento di una forma classicamente perfetta. Costituisce dunque un motivo di piena e convinta soddisfazione il fatto che un nuovo elemento della nostra cinematografia, Luchino Visconti, che è stato aiuto e collaboratore di Jean Renoir, si accinga a darci col suo primo film, Ossessione, un'opera le cui radici sotterranee e i cui motivi più profondi originano e traggono linfa da questo humus fecondo. Ossessione sarà un film in cui non si vedranno educande, non principi consorti, non milionari affetti dal tedium vitae: ma tutta un'umanità spoglia, scarna, avida, sensuale e accanita fatta così dalla quotidiana lotta per l'esistenza e per la soddisfazione di istinti irrefrenabili: un'umanità che scatta a molla nell'azione, senza il mediato correttivo del pensiero, ma con quella spinta irruenta per cui desiderare e prendere costituiscono un unico atto spontaneo al di qua del bene e del male. Per questa loro istintiva animalità; per il nascere dei loro atti in questi remoti e incontrollati recessi della coscienza, i protagonisti del film, cui danno volto Massimo Girotti, Clara Calamai e Juan De Landa, appaiono dei puri di cuore, degli incolpevoli, delle vittime anche nello spiegarsi della passione, del tradimento, del delitto. Una moralità più alta li avvolge, nel film, di umana simpatia, e di pietosa comprensione, mostrando come neppure la torbidità degli eventi appanni il cristallo immacolato di quelle coscienze elementari...Creature umane, i cui tratti palpitano con così dolorosa verità, non saprebbero muoversi nelle impalcature dipinte nei teatri di posa, ma tra alberi veri, nell'erba, nella campagna, nei prati, tra gli elementi naturali, o nelle zone accidentate e spezzate della periferia cittadina dove ogni sasso, ogni angolo sbrecciato, ogni viottolo, ogni cortile narra, nell'usura della sua fisionomia originaria, tutta la lunga storia del quotidiano rovello degli uomini. Intendimenti simili non si scelgono come una cravatta nell'armadio, ma testimoniano di una piena maturità di coscienza e sono, in sostanza, più che una promessa, già un punto di arrivo. Ed è per questo che il film va senz'altro considerato con un metro diverso dalla produzione corrente e commerciale: come un film d'arte" (Antonio Pietrangeli, 1942).
"E' vero...a me interessano sempre le situazioni estreme, i momenti in cui una tensione abnorme rivela la verità degli esseri umani, amo affrontare i personaggi e la materia del racconto con durezza, con aggressività, c'era crudeltà e violenza in Ossessione più che in qualsiasi altro mio film..." (Luchino Visconti)

04/02/11

Meetings with Remarkable Men (Peter Brook)

Meetings with Remarkable Men
di Peter Brook (1979 USA 108')
Il film parte dall'autobiografia di G.I. Gurdjieff (che contribuisce personalmente alla sceneggiatura), mistico caucasico, e dai suoi viaggi attraverso l'Asia centrale, in cerca di un'illuminazione e di nuovi livelli di spiritualità perseguiti attraverso trances, musica e danza. "Una delle nostre più grandi difficoltà era proprio nel mezzo cinematografico in sé. Il cinema, per sua natura, travolge: immagini e suoni invadono ogni angolo del cervello, spazzano via qualsiasi senso di distanza, rendono totale e irresistibile la nostra identificazione con l'azione. In teatro un verso, una canzone, una danza, persino un salto nell'aria sono spesso sufficienti a che si manifesti il significato più nascosto: Con la macchina da presa, invece l'ostacolo è assai più grande, perché tentare di filmare l'invisibile sembra che neghi la natura stessa della fotografia. In questo film il potere evocativo delle parole di Gurdjieff doveva essere sostituito da immagini, da una scelta accurata delle persone e dei luoghi con cui erano in rapporto. Soltanto se fossero stati trovati questi elementi la fotografia avrebbe potuto fare di ogni scena un documento vivente e non una semplice finzione. La ricerca degli esterni ci portò in zone remote della Turchia, agli scenari veri di gran parte della storia, alla trasparente bellezza del lago Van...Ma alla fine trovammo in Afghanistan le persone e le condizioni che cercavamo." (Peter Brook)