19/08/11

Come in uno specchio (Ingmar Bergman)

Come in uno specchio
di Ingmar Bergman (1960 SVE 89')
"il film era inizialmente chiamato Carta da parati. Pensavo di fare un film su qualcuno che passava abbastanza naturalmente dentro e fuori da un muro ricoperto di carta da parati. C'era una piccola porta nel muro e da questa porta lei entrava in un altro mondo e ne usciva."
Straordinaria pellicola d'impostazione teatrale firmata dal maestro Bergman in stato di grazia incentrata sulle angosce dell'animo umano, sul bisogno di trascendenza e sull'incomunicabilità tra esseri umani. Solamente quattro attori in un'isola sperduta, lontano da Dio e dagli uomini: l'incantevole e suggestiva isola di Fårö nel Mar Baltico (su cui poi il regista deciderà di trascorre gli ultimi anni di vita). Un film con indubbi spunti autobiografici, animato da una fotografia stordente ad opera del grande Sven Nykvist fatta di immaginifiche luci ed ombre, capace di comunicare quasi più con le immagini che con le parole. Quattro personaggi: uno disperato scrittore rimasto vedovo che in nome del successo e del proprio egoismo ha messo da parte l'amore familiare; i suoi due figli Karin e Minus, lei colpita da una grave forma di schizofrenia e in preda a squassanti episodi allucinatori, lui adolescente inquieto e insicuro; insieme a loro il marito medico della figlia, la cui razionalità e i cui farmaci sono incapaci di placare le visioni della ipersensibile moglie. La capacità del regista di farci partecipi degli stati d'animo dei suoi protagonisti è stupefacente e i dialoghi del film sono talmente incisivi da meritare l'immediata trascrizione su carta. Molte le sequenze indimenticabili come l'incipit "con i quattro protagonisti che escono, saltellando, in campo lungo, da un mare fosco color acciaio, quasi uscissero dall'inferno per raccontarci i loro tormenti" o come l'elegantissima sequenza dell'incesto tra i due fratelli girata all'interno di un vascello abbandonato sotto una pioggia battente. Il film, insieme a Luci d'inverno e a Il silenzio, fa parte della trilogia dedicata dal regista al problema religioso e alla ricerca di tracce del silenzioso infinito. Karin attraverso un pertugio della misteriosa e ipnotica carta da parati di una stanza della grande casa riesce a penetrare nell'altra dimensione: "Io passo oltre la parete...mi trovo in un ambiente enorme. Tutto è illuminato e tranquillo. Diverse persone vanno avanti e indietro e quando mi rivolgono la parola le capisco. Tutto è splendido e io sono serena. Alcuni volti irradiano attorno una luce quasi abbagliante. Tutti aspettano Lui che deve arrivare, ma senza nessuna ansia. E dicono che io devo essere presente quando ciò avverrà...a volte provo un'ansia irrefrenabile, un desiderio violento del momento in cui la porta si aprirà e tutti si volgeranno verso di Lui che si fa avanti...Credo che sia Dio, che sia Dio stesso che debba apparirci...Dio scende dalla montagna attraverso il bosco tenebroso mentre intorno le fiere guardano nel silenzio. Dev'essere la realtà. Io non sogno e quello che dico è vero. A volte mi trovo in questo mondo e a volte nell'altro senza che io possa impedirlo". Ma l'apertura della porta nelle sue visioni avrà conseguente nefaste per la sua psiche "ho avuto paura...la porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me e io l'ho visto in faccia: un viso ripugnante e gelido. Si è lanciato su di me, voleva possedermi ma io mi sono difesa. Vedevo continuamente i suoi occhi così freddi e calmi. Non è riuscito a penetrare in me, così ha strisciato sul mio petto e se ne è andato su per la parete. Ho visto Dio...". La vita ha la capacità di sorprendere, sia in positivo che in negativo e all'uomo non rimane che "tracciare un cerchio magico intorno a sé, escludendo tutto ciò che può compromettere i suoi intenti, ma quando la vita spezza il cerchio gli intenti si rivelano meschini e insignificanti. Così tracciamo subito un nuovo cerchio, un nuovo riparo". Ma il riparo definitivo per il regista è l'amore che si configura come la vera e definitiva prova dell'esistenza di Dio: "Dio è la certezza che l'amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini...Ogni genere d'amore, il più elevato e il più infimo, il più oscuro e il più splendido. Ogni specie d'amore...il desiderio e la repulsione, miscredenza e fede...Non so se l'amore dimostra l'esistenza di Dio o se l'amore è Dio stesso...questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione. Di colpo la miseria è diventata ricchezza e la disperazione speranza. E' come essere graziati in punto di morte". Il titolo della pellicola si collega a una frase della Lettera di San Paolo ai Corinti "adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" a testimoniare l'insanabile difficoltà di interpretazione del reale che porta l'artista, il filosofo, l'essere umano ad una ricerca incessante, ricca di spunti e frutti illuminanti, ma ineluttabilmente priva della comprensione assoluta del senso. 

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