26/12/09

Simon del deserto (Luis Bunuel)

Simon del deserto di Luis Buñuel (1965 MEX 42')

Uno dei film più inafferrabili ed affascinanti del maestro Buñuel, magistralmente fotografato da Gabriel Figueroa, incentrato sulla vita di Simon, personaggio ispirato a San Simeone stilita, un santo che è realmente vissuto in Siria centinaia e centinaia di anni prima del periodo in cui è ambientato il film. La tradizione vuole che San Simeone abbia passato gli ultimi 37 anni della sua vita, dal 422 al 459, in cima a una colonna. Simon, invece, vive su una colonna da 6 anni 6 settimane e 6 giorni e questo diabolico numero dà il via nella pellicola ad una serie di astute tentazioni demoniache. Tali sono messe in atto da un'indimenticabile Silvia Pinal, che assume di volta in volta varie sembianze, quali quelle di una procace contadina, di una studentessa maliziosa (vera e propria icona cult vestita da marinaretto con calze nere, giarretttiere e seno in bellavista), del buon pastore con agnello in braccio e di una diabolica tentatrice. Le riprese del film durarono solo 18 giorni perché il produttore Alatriste litigò col regista e fece mancare all'istante i finanziamenti e così Buñuel fu costretto a chiudere anticipatamente la sua storia con un colpo d'ingegno, riducendo il film ad un mediometraggio. Tutto questo però non ha minimamente danneggiato la pellicola, che anzi risulta assai complessa, refrattaria ad interpretazioni univoche, e la figura del monaco che espia sulla colonna, nutrendosi solamente di acqua e insalata, è una delle più indimenticabili dell'intera filmografia buñueliana. Nel film sicuramente emergono la sincerità e la drastica abnegazione del personaggio di Simon, totalmente coinvolto e soddisfatto nel portare avanti il proprio cammino di comunanza con Dio. Ma emerge anche la sua candida ingenuità, che lo fa vivere ad anni luce di distanza dal mondo degli uomini, considerati ignobili e non degni di attenzione (neppure la propria madre). Vi è, a questo proposito, una sequenza fondamentale in cui Simon, incalzato dalle domande di un frate, mostra di non capire l'esistenza della proprietà privata e viene apostrofato dal frate con le lapidarie parole: "il tuo disinteresse è ammirevole e assai benefico per la tua anima. Ma ho paura che, come la tua penitenza, non serva a molto per gli uomini". Il grande dubbio messo in scena dal film è quindi la reale utilità di una vita di questo tipo. Il sarcasmo di Buñuel si manifesta anche nella sequenza iniziale del miracolo fatto da Simon, di fronte ad una moltitudine di fedeli in preghiera, a favore di un ladro pentito a cui sono state tagliate le mani a causa dei suoi furti. La ricomparsa delle mani viene data per scontata da tutti i presenti e lascia quindi la folla indifferente, compreso però il ladro stesso, che si arrabbia al pensiero di doversi rimettere a lavorare a causa delle nuove mani e dà pure con queste una spinta alla figlioletta troppo ciarliera. Altra sequenza beffarda è quella in cui il fratello Trifon è posseduto dal demonio e nasconde vivande (cacio, pane, vino) nella sacca di Simon, cercando di mostrare come il suo digiuno sia in realtà un bluff. L'intensa preghiera delle autorità ecclesiastiche smaschererà l'impostore che però, con la bava alla bocca, si lancerà in una serie di assurde imprecazioni "abbasso la sacra ipostasi! boia l'anastasi! viva la apocatastasi!..." che confonderanno non poco i religiosi, con un effetto esilarante per gli spettatori. Buñuel si diverte a disseminare la pellicola di simboli, doppi sensi erotici e sfrecciate ironiche (come quando Simon non ricorda la continuazione di una preghiera o come quando si mette a benedire qualunque cosa, anche grilli e capre, perché questo lo esalta), ma allo stesso tempo induce a riflettere su temi alti (il bene e il male, il peccato e la redenzione, l'ascetismo o la partecipazione attiva alla società, la vita religiosa vista come libertà o come schiavitù, il coraggio di resistere alle tentazioni). In diversi momenti si odono i tamburi di Calanda, che rimandano misteriosamente ad altri suoi film e rimane impressa la frase ripetuta più volte nel film: "attento che il demonio vaga per il deserto" "di notte lo sento". Vi sono poi nel film un nano che vive ambiguamente in simbiosi con le sue capre, un ragazzetto glabro e saltellante, una bara che striscia nel deserto e una vecchia strega avvizzita. Il finale è poi un autentico colpo di genio con la diabolica Silvia Pinal seminuda, che esce da una bara e con un incantesimo trasporta Simon a bordo di un aereo fino a New York, nel bel mezzo di una festa beat del 1965. Stanno suonando con ritmo sincopato i "The Sinners"e il ballo da posseduti dai ragazzi è chiamato "carne radioattiva", il ballo finale. Simon ha l'aspetto da intellettuale, è pensieroso, beve e fuma una pipa, prova ad opporsi alla situazione con uno svogliato "vade retro", ma l'aggressiva accompagnatrice lo apostrofa con un "vade ultra!" e si lancia in una danza sfrenata dicendogli "che se va a casa gli potrebbe capitare qualcosa...è la vita ubriacone! devi sopportarla! devi sopportarla fino in fondo!", mettendosi poi a gridare al ritmo della forsennata musica. Il film avrebbe poi dovuto finire con una scena della colonna dello stilita sormontata da un cartellone pubblicitario e poi un'esplosione, ma Buñuel non ebbe il tempo di girarla. L'ambiguità del film ha portato la critica sia laica che cattolica in diversi periodi a volersene assicurare la paternità e appartenenza. E questo la dice lunga sul meraviglioso sberleffo che il maestro ci ha regalato.

Nessun commento: