27/11/09

Il cattivo tenente (Abel Ferrara)

Il cattivo tenente
di Abel Ferrara (1992 USA 96')
Pochi film hanno intimamente sconvolto gli spettatori come questo, millimetrico e studiato in ogni
particolare, incentrato su un tenente di polizia di New York, corrotto, aggressivo, sboccato e totalmente perso nell'abisso del vizio. La sceneggiatura della pellicola, visceralmente sofferta, è stata scritta a quattro mani dal regista con Zoë Tamerlis Lund, attrice protagonista di Ms 45 (L'angelo della vendetta), ispirandosi ad un fatto di cronaca nera del 1982 (una suora venne barbaramente violentata nel quartiere spagnolo di New York), che sconvolse il regista e l'opinione pubblica. Nicholas St. John, abituale collaboratore alle sceneggiature dei film di Ferrara, si tirò fuori dalla pellicola poiché si mettevano in campo interrogativi troppo grossi, ai quali come cattolico non riteneva di essere ancora pronto a rispondere. In effetti il regista punta veramente in alto, ma lo fa con un rigore assoluto, che lo preserva dallo scivolare nel ridicolo involontario. E questo soprattutto grazie all'interpretazione di Harvey Keitel, che si immerge nel personaggio, probabilmente anche autobiografico, con tutto il proprio corpo e la propria anima, caricandolo di un'energia animalesca e viscerale che travolge lo spettatore. Nel film si assiste all'incontro con Dio del tenente, avvenuto in un passaggio esistenziale di estrema perdizione autodistruttiva e di deriva psichica e morale totale. Il tenente si assurge a simbolo dell'umanità estremamente sola delle metropoli contemporanee, che ricerca lo sballo e si ottunde i sensi in ogni modo possibile, situazione questa che rivela in realtà un sempre maggior bisogno di spiritualità e amore. La crisi e il disordine dei sensi del protagonista aprono così uno squarcio, che consente al tenente di percorrere una strada insolita per giungere in contatto con il Sacro. Al centro della pellicola vi è il peccato, la tentazione del male e il libero arbitrio individuale che ci fa prendere una strada oppure l'altra. Al regista interessa focalizzare il discorso sul problema fondamentale della scelta individuale. E nel monologo, tristemente autobiografico (successivamente è morta di overdose), di Zoë Lund (anche attrice nel film), c'è una delle chiavi di lettura del film: "I vampiri sono fortunati. Si nutrono degli esseri che trovano. Invece noi divoriamo noi stessi. Dobbiamo mangiare le nostre gambe per trovare la forza di camminare. Dobbiamo arrivare per potere andar via. Dobbiamo succhiarci fino in fondo. Dobbiamo divorarci da soli, finché non resta nient'altro che la fame. Noi diamo, diamo e diamo come pazzi. Non credo che tutto questo abbia senso. Non significa niente. Gesù ha detto: settanta volte sette, nessuno riuscirà mai a capire perché l'hai fatto, ti abbiamo già dimenticato il mattino dopo. Peccato." E "Settanta volte sette" è proprio la risposta che Gesù dà a Pietro che chiede "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?" (Matteo 18,21). Lo scandalo del perdono è la molla che avvia nel film la crisi mistica del tenente. Il tenente viene letteralmente sconvolto dalle parole della suora che dichiara che non vuole vendicarsi dei suoi stupratori dicendo: "Quei ragazzi, tristi e rabbiosi sono venuti da me a chiedere aiuto e come molti bisognosi erano violenti, e come tutti i bisognosi hanno preso e come tutti i bisognosi erano soli. Padre, io so chi sono, studiano nella nostra scuola e giocano nel nostro cortile e...sono dei bravi ragazzi. Gesù ha trasformato l'acqua in vino, avrei dovuto trasformare il loro seme in fertile sperma, il loro odio in amore, avrei dovuto salvare la loro anima. Loro non mi amavano ma io avrei dovuto amarli. Gesù amava coloro che lo avevano oltraggiato. Non incontrerò più due ragazzi la cui preghiera sia così ardente, così chiara, così dolorosa". E il gesto finale, sovversivo in quanto totalmente gratuito, di perdono dei due ragazzi, che fa inaspettatamente il tenente, rinnova al mondo contemporaneo l'originaria purezza rivoluzionaria della Parola. Ma quello del tenente non è propriamente un semplice percorso di redenzione, è piuttosto la messa in scena di una salvazione di un essere umano in virtù della luce della Grazia Divina. Abel Ferrara in alcune interviste ha infatti dichiarato:"Cristo è il motivo ultimo per cui faccio questo mestiere...Credo che ciò che Cristo rappresenta è qualcosa in cui credere ed è qualcosa per la vita". Ma allora per far questo perché occuparsi di esseri umani tanto degenerati? La risposta si trova nel vangelo di Matteo (9 10-13): "Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei, dicevano ai suoi discepoli: perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori." Un capolavoro che mette in scena, avvalendosi di uno stile secco e brutale, la complessità e la fragilità dell'essere umano, comprensiva delle pulsioni più disdicevoli. La visione viene a costituire, anche ad anni di distanza, un'avventura interiore ed emozionale molto intensa, che rende meravigliosamente bene l'avvento improvviso della "follia" del Sacro, in un mondo in cui la religione è ormai sempre più ridotta a vuoto feticcio.
"E' uno dei più grandi film che siano mai stati fatti sulla redenzione...Fino a che punto si è disposti a scendere per trovarla...Avrei voluto che L'ultima tentazione di Cristo gli somigliasse."
(Martin Scorsese)

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