22/08/09

A page of Madness - Kurutta ippeji (Teinosuke Kinugasa)

A page of madness - Kurutta ippeji
di Teinosuke Kinugasa (1926 GIAP 59')

Due anni fa vidi questa eccentrica meraviglia (ne avevo letto sul forum spagnolo Cine-Clasico) rimanendo stordito sia per l'ineccepibile capacità tecnica del regista che per lo sconvolgente messaggio...mai avevo letto nulla di questo film in italiano, su IMDB i commenti erano giustamente entusiastici e veniva definito come un capolavoro dimenticato del cinema muto, per lungo tempo andato perduto e poi riemerso grazie ad un ritrovamento casuale della pellicola nei primi anni Settanta. Wikipedia diceva che il film era stato uno dei prodotti del gruppo di artisti d'avanguardia noto come shinkankaku-ha (o School of New Perceptions), gruppo che si poneva come obiettivo di superare la tradizionale rappresentazione di stampo verista. La sceneggiatura originale fu scritta da Yasunari Kawabata che poi vinse il premio nobel per la letteratura nel 1968.
La trama della pellicola al primo impatto risultava difficile da seguire, trattando di un uomo obbligato ad impiegarsi come bidello di un manicomio pur di poter stare vicino alla moglie malata, grave alienata ridotta in uno stato catatonico, probabilmente però colpevole dell'omicidio per annegamento della loro unica figlia. Ma quello che si insinuava saldamente nella psiche erano le immagini espressioniste e il montaggio trascinante, accompagnati da una bizzarra melodia allucinatoria. Altro elemento scardinante era rappresentato dalla situazione rappresentata, che evidenziava come chi non riuscisse a nascondere o a compensare le proprie difficoltà di vita venisse messo da parte dalla società dell'epoca ed esiliato in apposite strutture, irrimediabilmente etichettato come pazzo. I pazienti erano tenuti reclusi e trattati esattamente come in una terribile prigione. Il film veniva a configurarsi quindi come una denuncia coraggiosa e per l'epoca alquanto rivoluzionaria. Molte le sequenze che restano nella memoria come quella degli alienati che rimangono come ammaliati da una forza misteriosa, guardando una ballerina danzare, e poco dopo danno il via ad una violenta ribellione collettiva, resa da immagini dismorfiche e furibonde che potrebbero rivaleggiare con un Tetsuo di Tsukamoto.
La volontà del regista è quella di penetrare il subconscio dei malati e letteralmente di impressionarlo su pellicola, fino ad afferrare le più profonde radici della follia. Probabilmente si può dire che il suo tentativo è riuscito. Le lacrime poi affiorano quando, nel poetico finale, vediamo gli alienati con addosso maschere teatrali, apparentemente ritrovare un'ingannevole serenità.

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