05/11/08

Estasi di un delitto (Luis Bunuel)

Estasi di un delitto - Ensayo de un crimen
di Luis Buñuel
(1955 MEX 89')
con Ernesto Alonso, Miroslava Stern, Ariadna Welter, Rita Macedo.

Emerson a proposito del buon romanziere dichiarava: “il romanziere avrà degnamente assolto la sua missione quando avrà spazzato via il convenzionalismo che ne copre o distorce la natura, avrà distrutto l'ottimismo del mondo borghese e avrà costretto il lettore a dubitare della perennità dell'ordine esistente, anche senza prendere apertamente posizione...”. Questa frase si coniuga alla perfezione con l'idea di cinema di Luis Buñuel e questo folgorante “Estasi di un delitto” non fa che metterne in atto gli assunti. Si tratta della storia di un omicida in potenza, di nome Archibaldo de la Cruz, cioè di un assassino che per motivi e condizioni fortuite non riesce a mettere in pratica i delitti da lui accuratamente pianificati e immaginati.
Si tratta anche della storia delle ossessioni di un feticista, rimasto invischiato in un complesso di Edipo irrisolto e perennemente frustrato da situazioni esterne casuali al momento della piena soddisfazione del suo desiderio. L'ironia e lo humour nero di Buñuel fanno in modo che il film scorra fluido e lieve, apparentemente con i modi di una farsa ben architettata, in realtà le allusioni al legame inscindibile tra erotismo e morte affiorano ripetutamente dalle immagini sullo schermo, andando a scardinare le certezze dello spettatore di allora e di oggi.
La storia ha inizio con Archibaldo, bambino benestante e viziato, scoperto e sgridato dalla baby-sitter perché trovato rinchiuso dentro un armadio con addosso i vestiti della madre. Da quel momento il piccolo Archibaldo proverà intenso odio verso la donna che si è frapposta alla soddisfazione del proprio piacere. In una sequenza successiva la madre, superficiale e distante, regala al piccolo un carillon con una ballerina danzante, pur di poter andare liberamente a teatro, lasciando Archibaldo in custodia alla baby-sitter. Quest'ultima, vedendo il regalo, racconta al bambino una favola in cui quel carillon ha il potere magico di sopprimere le persone che sono causa della sua rabbia o della sua paura. Il piccolo aziona così il carillon con un intento ben preciso, mentre si odono grida e spari provenienti dalla strada sottostante...la rivoluzione intanto è iniziata e si sta spandendo a macchia d'olio...la baby-sitter incuriosita si affaccia alla finestra e, mentre Archibaldo la sta osservando, una pallottola vagante la colpisce alla giugulare facendola cadere a terra senza vita. Archibaldo si sente l'autore del delitto e avverte così un'ebbrezza di potenza, ritenendosi in grado di poter gestire la vita delle persone grazie al carillon, e provando un ambiguo e intenso piacere alla vista delle cosce bianche della donna con reggicalze nero e anche del sangue sul suo collo.
Nelle immagini successive scopriamo che Archibaldo sta raccontando questa storia ad una suora-infermiera che lo accudisce, in quanto ricoverato per disturbi nervosi, ma il rievocare la sua ossessione lo fa di nuovo uscire dai binari, fino ad arrivare a minacciare la suora con uno dei sette rasoi che gelosamente colleziona e custodisce in un'apposita scatola. La suora spaventata dalla scena scappa, andando a cercare riparo nel vano dell'ascensore, non rendendosi però conto che l'ascensore non c'è...il risultato sarà un volo con successivo micidiale schianto al terreno.
Sconvolto da sé stesso, Archibaldo andrà a confessare i propri crimini immaginari al commissario di polizia, che lo liquiderà con un “si compri un bel rasoio elettrico...e speriamo bene...non sarà comunque l'unico a piede libero”.
Il film ripercorre in flashback tutto il resto della vita di Archibaldo, incentrata sulla permanente fusione tra realtà e inconscio e sulla ricerca dell'immagine materna nelle donne che incontra. Vedremo come il ritrovare il vecchio carillon in una bottega di un antiquario e risentire il tema musicale lo porterà ad una regressione infantile nel limbo delle sue ossessioni (Archibaldo beve solo latte...). Tre donne saranno al centro del racconto, ognuna simbolica di una determinata femminilità e di ognuna Archibaldo immaginerà l'assassinio. La prima è una donna isterica e provocante, che seduce e domina gli uomini che la circondano, compagna di un ricco anziano che ritiene che sia “preferibile essere ingannati, piuttosto che rinunciare alle illusioni”, praticamente una puttana. La seconda è la fidanzata di Archibaldo, tenera fanciulla di buona famiglia e fervida credente, praticamente una santa. Tra le due c'è Lavinia, misteriosa ed enigmatica modella, che sbarca il lunario accompagnando turisti americani lungo il Messico e che è sempre controllata a distanza da un anziano compagno. Archibaldo la vede nel negozio dell'antiquario e poi la rivede in un bar avvolta tra le fiamme di un punch al rum, “donna inafferrabile e sintesi perfetta tra virtù e peccato”...subito mette in moto le sue doti da seduttore impenitente. In seguito scoprirà che la donna posa per la creazione di manichini messicani usati per saloni di bellezza e questa evenienza non farà altro che stuzzicare il feticismo dell'uomo, che organizzerà un incontro con la donna nella sua casa, a fianco di un manichino/copia perfetta di Lavinia. Archibaldo vista la riluttanza della donna a cedere alle sue avances, inizierà a corteggiare e baciare il manichino, andando a stimolare le fantasie di Lavinia, che successivamente arriverà a scambiarsi vestiti e indumenti intimi con la propria copia perfetta.

Anche in questo caso l'omicidio architettato fallirà per una serie di casualità indipendenti dalla volontà dell'uomo e Archibaldo si ritroverà con in mano solo il manichino della donna. Sublimerà il suo desiderio e sfogherà la sua rabbia su quest'ultimo, facendolo ardere nel forno per ceramica, che solitamente usa per creare i suoi vasi. Va notato come nel trasporto verso il forno il manichino perderà una gamba, menomazione che preannuncia quella della Deneuve in “Tristana”. In seguito, grazie ad una lettera anonima, Archibaldo scoprirà che l'apparentemente virginale fidanzata lo tradisce con un architetto sposato. E così si chiude il cerchio e come dice Edoardo Bruno: “ognuno è diverso da quel che appare con gli abiti di un perbenismo assurdo, ingeneroso frutto di convenzioni e di conformismo. Tutto il film è un continuo sussurrare dietro le quinte, un continuo svelare, dietro la facciata dell'apparenza, una realtà diversa...”. A questo punto Archibaldo immagina di uccidere dopo il matrimonio anche la sua fidanzata, ma sarà invece l'amante abbandonato a farlo all'uscita della chiesa, dopo la celebrazione del matrimonio con Archibaldo. Il rito del matrimonio è un occasione che consente a Buñuel di mettere alla berlina l'ipocrisia della società, rappresentando in disparte alla cerimonia un prete, un generale e il commissario della polizia che dialogano sulla bellezza e importanza del matrimonio religioso rispetto a quello civile. Nel finale Archibaldo dopo una breve riflessione, che sembra una seduta di auto-psicanalisi, decide di gettare il carillon nel lago, acquistando immediatamente un nuovo vigore...ora non gli resta che la libertà di essere sé stesso. Passeggiando per il parco, risparmia la vita ad una cavalletta su un albero, scena che richiama quella di “Monsieur Verdoux” con la lumaca, per poi incontrare fortuitamente la bella Lavinia, dichiararle il proprio amore e allontanarsi felice abbracciandola. In termini psicanalitici la perdita del feticcio non può fare altro che precipitare il protagonista nella paranoia, ma il finale aperto ci fa restare nel dubbio. La realtà successiva però ammanta il film di un'aura oscura, l'attrice Miroslava Stern, che nel film interpreta Lavinia, si suiciderà una ventina di giorni dopo la fine delle riprese e il suo corpo verrà cremato, come da lei precedentemente disposto...

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