02/02/08

Il Posto delle Fragole

Wild Strawberries
di Ingmar Bergman (1957 SVE 95')
con Victor Sjostrom, Bibi Andersson, Ingrid Thulin, Gunnar Bjornstrand, Folke Sundqvist, Max Von Sidow

Nel 1989, l'Ente dello Spettacolo organizzò un referendum per stabilire quali fossero secondo critica e pubblico i film ritenuti migliori di tutta la storia del cinema. Il pubblico indicò "Via col vento" e la critica "Quarto potere". Ma quando i dieci film indicati dalla critica e i dieci film indicati dal pubblico vennero proiettati a Roma in una gioiosa rassegna competitiva per un'ulteriore verifica (non più sul flebile filo del ricordo, ma dopo una nuova illuminante visione), il giudizio finale degli spettatori collocò al primo posto, inaspettatamente per quei tempi, proprio "Il posto delle fragole". Orso d'oro a Berlino e premio della critica a Venezia, è comunque veramente uno struggente capolavoro, affascinante, significativo e traboccante di spunti. Se l'adolescenza, ed in senso più lato la giovinezza, possono essere considerate nell'immaginario comune il superamento della linea d'ombra conradiana, la vecchiaia altro non è che l'approdo al posto delle fragole di bergmaniana memoria.
Il regista, all'epoca delle riprese, aveva solo 37 anni, ma già la vita lo aveva segnato a tal punto da essere capace di mettere a punto un doloroso bilancio esistenziale, non a caso affidato alla straordinaria sensibilità interpretativa del grande regista svedese Victor Sjöström (qui alla sua ultima apparizione sul grande schermo). Il film viene ad essere un eccentrico road-movie alla ricerca del tempo perduto, indimenticabile fiaba drammatica sulla solitudine, dalla costruzione perfetta, in cui l'intrecciarsi di realtà, sogni e ricordi è dato da una sceneggiatura, rimasta come un caposaldo nella storia del cinema. Dal punto di vista visivo il regista, con grande abilità, oscilla tra il naturalismo quotidiano e l'espressionismo onirico (specie nelle formidabili sequenze dell'incubo iniziale e del processo). Solo nel finale il ritmo sincopato della pellicola si attenua e i tormentati sussulti d'angoscia del protagonista si sciolgono in un sempiterno sorriso, colmo di saggia serenità e tranquillità...e la vita mancata dei ricordi, improvvisamente si illumina attraverso le possibilità ancora aperte delle esistenze dei suoi giovani compagni di viaggio.
Il tempo è però il vero protagonista del racconto, sia nel parallelismo tra le diverse epoche presentate, sia nel lacerante contrasto fra le generazioni. Anche la fine del tempo, intesa come morte, minacciosa certezza incombente e sempre presente, viene più volte affrontata nel corso del film; si veda a tal proposito il geniale simbolismo dell'orologio senza lancette, che più volte appare durante la pellicola.
La gioventù, rappresentata dai tre giovani raccolti in auto, è spensierata e gaia, ma per nulla superficiale, tanto che la scintilla iniziale del litigio tra i due ragazzi riguarda l'esistenza di Dio e i diversi approcci ad essa. Essi chiedono un parere al professore, che in quel momento lo rifiuta. Ma, in un altro punto del film, il protagonista e la nuora recitano tali versi: "...la sua presenza è indubbia e io la sento in ogni fiore e in ogni spiga al vento...." e "...l'aria che io respiro e dà vigore, del suo amore è piena...", dando quindi una risposta non negativa. Il nodo religioso e il mistero della fede, centrali nella poetica bergmaniana, tornano anche in questo film, trattati con delicatezza e in maniera allusiva, considerando l'amore come vero elemento di risoluzione di ogni crisi esistenziale e intellettuale.
Dal punto di vista cinematografico, geniale la sequenza dell'incubo iniziale: "il protagonista si trova in una città sconosciuta. Gli orologi non hanno lancette. Un uomo senza volto si affloscia a terra. Un carro funebre sbatte contro un lampione, la bara cade a terra. Esce una mano che prende il braccio del professore e lo tira a sé. Il protagonista riconosce nel volto del morto il proprio volto".
Tirando le somme, il film è una profonda meditazione sulla vita e sulla morte, una storia di raggiungimento della saggezza attraverso un irto percorso di conversione e cambiamento, poiché il vecchio professore al termine del sofferto viaggio, che si snoda attraverso il racconto, e alle soglie della sua inevitabile morte, muta atteggiamento nei confronti del prossimo, rammaricandosi per il suo passato egoismo e proverbiale glaciale distacco. Ma è anche un film della nostalgia per la giovinezza, la primavera dell'esistenza (simboleggiata dalle fragole) che è passata e non potrà più tornare, inoltre fondamentale e da tenere sempre ben presente è un film sugli affetti come valore primario della vita per i fragili esseri umani.

"La famiglia di un prete vive come su un vassoio, senza alcuna protezione dagli sguardi estranei... Foggiai una personalità esteriore che aveva ben poco a che fare con il mio vero io. Non riuscendo a tenere separate la mia maschera e la mia persona, ne risentii il danno fin nella vita e nella creatività dell'età adulta. A volte dovevo consolarmi dicendo che chi è vissuto nella menzogna ama la verità."
(Ingmar Bergman)

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