19/10/07

Girare un film con lo specchietto retrovisore


Altre due scaglie di memoria fuori tempo massimo. Cose vecchie, attorte nelle solite ossessioni. Il trionfo effimero sulla morte che è il Cinema. Con quel senso di attesa, di conservazione, di contemplazione di quel che ancora non è perché non è mai stato.
E allora: corpi, volti, sembianze. Odori, profumi. Lo srotolarsi di sé come una macchina cinema, incosciente e piena di mille coscienze. Attimi, senza bisogno di ricordarli perché sono già “ricordati”. Macchina, macchinetta della memoria e dell’oblio. Ricominciare, da un lontano vicino.
Continuare a pensare che non sia mai finito, il cinema. Come un autoritratto che muti a vista (il cinema è questo? Noi siamo questo). Proprio ora che questa mutevolezza e correggibilità indefinita diventa possibile col gioco di immagini sintetiche…
Eppure non si può non essere iconoclasti. Specialmente se si è della razza che farebbe cinema anche con gli specchietti retrovisori, o anche senza specchietti, semplicemente viaggiando in moto o attraversando la città.
La trasmutazione è innescata, tra corpo e video. Spremuti e premuti da tanti anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se fossimo ancora capaci di amare.
Mettiamo in scena il nostro orizzonte di spettatori che dovranno svanire, dissolversi nello spettacolo amandolo o odiandolo, in una “vita” che sarà visibile solo a altri occhi o altre macchine.
Enrico Ghezzi (riadattato)

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